La Fondazione e l'onore dei ragionieri.

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Proviamo a parlare un po’ dei ragionieri. Io non so se il vero motivo della discussione intorno al nome di Fiorella Bianchi sia stato dovuto al livello di studio del direttore della Conad Italia, ma mi piace ragionarci sopra. I ragionieri, quelli del Bandini, hanno mandato avanti per anni il Monte dei Paschi, quando la Banca senese viaggiava a gonfie vele. Quelli che sapevano leggere un bilancio, che si sentivano responsabili del buon andamento della loro banca, quando ritornavano in famiglia o andavano in contrada. Storie che si sono perdute nei ricordi, forse anche un po’ enfatizzati, ma che comunque resistono nel senso comune dei senesi. Quei ricordi che si interrompono quando gli esperti della McKinsey sono diventati i consulenti privilegiati dei vertici bancari a Siena. E se non fosse solo un problema di titolo di studio? Non è per caso che “ragioniere” acquista un valore diverso nell’immaginario collettivo? Per soddisfare la mia curiosità sono andato a vedere cosa dice il vocabolario della Treccani a questo proposito, che così recita: “Persona meticolosa e pedante, molto attenta ai dettagli, ma incapace di ogni atto creativo”. Allora mi sono chiesto, come dovrei giudicare un comportamento come quello tenuto dalla Fondazione nei casi della Siena Biotech o della Sansedoni, o come quello quello che affida la gestione delle proprie risorse a una società specializzata? Ragionieristico? È il titolo di studio che determina i comportamenti? Non direi proprio. Ho letto che in molti oggi, con i buoi usciti dalla stalla, si domandano per quali obiettivi siano stati scelti i nomi del prossimo consiglio di amministrazione del Monte da parte della Fondazione. E ognuno tira fuori la sua ricetta, ma tutti sono d’accordo nel rivendicare che la direzione generale del Monte rimanga a Siena. Ricette che vengono scritte nel vuoto non sapendo ancora se la Fondazione di Clarich (che non è un ragioniere) aderirà o no all’aumento di capitale, se la stessa sia più o meno d’accordo sull’ipotesi di una fusione con un’altra banca. Nel vuoto strategico della Fondazione ciò che ci rimane sono le affermazioni dell’amministratore delegato Viola che da per scontato, dopo l’aumento di capitale, l’integrazione con un altro istituto bancario. Allora se integrazione dovrà esserci, mi domando: ma perché si fanno le fusioni? La prima risposta è per aumentare la dimensione ma anche per razionalizzare i costi. Ad esempio come sarà possibile mantenere due direzioni generali e una in un luogo chiaramente diseconomico come Siena? Cioè le economie di scala fanno da padrone. Soltanto il Mussari (che non è un ragioniere) non si era accorto del problema al momento dell’acquisizione dell’Antonveneta. E poi da che mondo e mondo chi mette i soldi comanda. Se ne deve essere accorto anche il presidente della Banca che mi ricorda tanto la vicenda del 2001, quella del Monte con BNL. In molti hanno scritto che l’accordo non fu fatto per questioni legate alla percentuale di controllo della Fondazione sul nuovo aggregato. Io ho un’altra versione cioè quella relativa alla governance: non fu trovata l’intesa perché non era chiaro chi faceva cosa fra Abete, Fabrizi, Croff e De Bustis. Chi mette i soldi vorrà anche la presidenza, ed è molto probabile che ciò possa avvenire anche per i prossimi asseti di governo della nuova compagine finanziaria quella che dovrebbe nascere dopo l’aumento di capitale e tutto in tempi rapidissimi; alla fine dell’estate? La considerazione che mi sento di fare è che i senesi siano ormai rassegnati e consapevoli di ciò che li aspetta nel prossimo futuro. Chi non sembra essersene accorto sono proprio alcuni politici che parlano, parlano come se dovessero rimuovere un senso di colpa. I più loquaci a questo proposito, sia quando parlano del passato che del futuro, sono propio quelli del PD. Vorrà pur dire qualcosa.

Pierluigi Piccini