La fine della teoria di McDonald’s

di Alexander Stille
Due paesi che hanno entrambi un McDonald’s non hanno mai combattuto una guerra l’uno contro l’altro», dichiarò l’editorialista del New York Times Thomas Friedman nel 1996. Questo era nei primi giorni euforici della globalizzazione in cui molti pensavano che avessimo raggiunto la Fine della Storia. Il muro di Berlino era caduto. Nuove democrazie nascevano dappertutto e i paesi più poveri stavano aprendo le loro economie e si presumeva che man mano che fossero diventati più ricchi sarebbero diventati più democratici. Sembrava che fossimo vicini a raggiungere una sorta di pace capitalista: i paesi che si arricchivano rapidamente sarebbero stati così occupati a fare soldi che non avrebbero avuto tempo — o interesse — per fare la guerra. La teoria della pace di McDonald’s – mentre gli 850 punti in Russia chiudono tra l’altro – è stata definitivamente sepolta dall’invasione russa dell’Ucraina. La prima fase ingenua — la Fine della Storia — globalizzazione 1.0 — si è conclusa con gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Era chiaro che molte parti del mondo non si accontentavano necessariamente di essere assorbite in un mondo globalizzato alle condizioni stabilite a Washington e Bruxelles. Il rifiuto del modello occidentale liberale non si limitava all’Islam radicale. La globalizzazione aveva trascurato l’importanza della cultura e il costo umano di un rapido cambiamento economico. La globalizzazione 1.0 si era basata sulla classica visione economica del “vantaggio comparativo”: gli Stati Uniti — e in una certa misura l’Europa — consentivano a milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero di trasferirsi all’estero perché quei beni potevano essere prodotti a un prezzo più basso altrove. Hanno completamente sottovalutato la devastazione umana per una generazione di lavoratori, nonché l’effetto corrosivo della crescente diseguaglianza economica prodotta dalla deindustrializzazione.
Questo ha aperto la strada a una certa forma di etnonazionalismo — legati da una comune sfiducia e rabbia verso le élite globali. E molte grandi democrazie in Europa e negli Stati Uniti sembrano stancarsi e perdere la fiducia nella democrazia stessa. Il duro potere autocratico di Xi Jinping sembrava più efficace nella lotta contro il Covid rispetto alla maggior parte delle democrazie occidentali. Molti partiti di destra — in Europa e negli Usa di Donald Trump — sembravano più attratti dal nazionalismo aggressivo di Vladimir Putin che dall’approccio tecnocratico dei governi democratici. L’idea liberale, ha detto Putin, era diventata obsoleta.
In questa seconda fase — la globalizzazione 2.0 — il sistema economico interconnesso sembrava rafforzare i paesi autocratici e consentire loro di diventare più aggressivi. Putin ha invaso la Georgia e la Crimea. La Cina ha messo un milione di uiguri nei campi di rieducazione. L’Arabia Saudita ha fatto la guerra in Yemen. I paesi democratici — dipendenti dal commercio cinese, dal gas russo e dal petrolio saudita — si sono dimostrati apparentemente incapaci di rispondere. La pace democratica capitalista era ormai diventata il suo opposto. Questa sembrava essere la situazione a febbraio, quando Putin ha ammassato truppe ai confini dell’Ucraina. Aveva una chiara superiorità militare sull’Ucraina. Con prezzi energetici già alle stelle, sembrava improbabile unire i 27 paesi dell’Unione Europea, più gli Stati Uniti, e altre democrazie. Ma sono successe tre cose che hanno sorpreso il mondo. In primo luogo, gli ucraini hanno offerto una resistenza straordinaria che ci ha ricordato che la democrazia e la libertà sono valori per i quali vale la pena combattere. In secondo luogo, l’Europa e gli Stati Uniti hanno condotto un lavoro diplomatico impressionante nel creare una potente risposta unificata all’aggressione russa. L’Unione Europea — indebolita dopo la Brexit — sembra aver ritrovato — o scoperto la sua identità. Svezia e Finlandia stanno valutando l’adesione alla Nato. La terza cosa che è accaduta è che le ricche democrazie hanno mostrato la volontà di usare il sistema bancario internazionale per punire la Russia congelando la maggior parte dei suoi 630 miliardi di dollari di riserve estere detenute nelle banche occidentali.
La maggior parte degli osservatori credeva da tempo che gli enormi surplus commerciali di Russia e Cina e l’ingente debito sovrano nei confronti dei paesi occidentali dessero loro tutta la leva in situazioni di conflitto. Gli ultimi dieci giorni hanno dimostrato che la leva è un’arma a doppio taglio. Il ritiro di società di carte di credito come Visa e Mastercard di Apple Pay e Paypal hanno dimostrato che in un sistema economico digitalizzato, i centri di finanza e della tecnologia hanno a disposizione potenti armi il cui impatto a Mosca si sente immediatamente. Siamo entrati in quella che potrebbe essere chiamata globalizzazione 3.0, in cui il commercio può essere sempre più plasmato da alleanze strategiche in cui commerciamo maggiormente con paesi con cui condividiamo valori di base. La guerra e il Covid ci hanno ricordato quanto può essere pericoloso dipendere eccessivamente da altri paesi per materie prime, energia e tecnologia. Sono sufficienti per rendere possibile l’idea di una pace capitalista e democratica?
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