I primi quattro articoli del decreto sono dedicati all’immigrazione. E a leggerne il contenuto sembra vedere aleggiare sull’austera sala di Palazzo Madama lo spirito di Carola, la comandante della Sea Watch. Il testo, infatti, concede superpoteri al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per impedire l’arrivo di navi con migranti a bordo nei nostri porti. Deve solo concertare con Toninelli e la Trenta e informare il premier Conte. E siccome può accadere che qualcuno si faccia beffa degli editti del Viminale, sono in arrivo multe fino ad un milione di euro per i comandanti delle navi che non rispettino gli ordini. Poi è prevista anche la confisca delle imbarcazioni che non rispettino le regole e dopo un certo periodo il passaggio allo Stato.
Questo punto lo hanno proposto i grillini ed è la loro buona ragione per dire sì al decreto. Per finire questo capitolo c’è anche l’arresto immediato e la reclusione da 3 a 10 anni per chi resiste o commette violenza contro una nave militare.Ma il decreto non si limita solo a reprimere le attività delle Ong. Vuole anche smascherare anche il presunto connubio fra organizzazioni umanitarie e trafficanti. E quindi via libera all’uso delle intercettazioni preventive per colpire sempre il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e soldi alle forze dell’ordine per agire sotto copertura con l’intento di scoprire chi favorisce l’arrivo degli immigrati.
Poi ci si occupa delle manifestazioni pubbliche, del ritardo nelle notifiche delle sentenze, dei pasti dei poliziotti in missione, delle scuole di polizia, dei rimpatri, due milioni per riportare a casa i clandestini, delle violenze dentro e fuori degli stadi, con inasprimento di pene e Daspo. Non manca la lotta al bagarinaggio e, per finire, le intercettazioni e la loro pubblicazione.
Ecco. Il Senato dovrà discutere di tutto questo prima di andare in vacanza. Ma prima dei saluti i senatori dovranno anche votare. Il testo o la fiducia. E in entrambi i casi non serve la maggioranza qualificata di 161 voti: si vince con un voto in più di quelli che sono presenti in aula.
I senatori, grazie al recente contestatissimo arrivo della grillina umbra Emma Pavanelli, il posto spettava alla Sicilia, sono nuovamente 321. Il M5S, dopo espulsioni varie, conta su 107 senatori. Al momento sarebbero in 7 pronti a dire no. O riflettono: Elena Fattori, Mattia Mantero, Virginia La Mura, Alberto Airola, Lelio Ciampolillo, Pietro Lorefice e Mattia Crucioli.
Dunque, si scenderebbe a 100 voti. La Lega ha invece 58 senatori. Umberto Bossi, anche se vorrebbe proprio esserci, non sta troppo bene. E allora si scende a 57. Matteo Salvini nei giorni scorsi ha perso il suo seggio in Calabria: avevano sbagliato a contare i voti e avevano tolto il posto alla forzista Fulvia Caligiuri. Il ministro dell’Interno recupera nel Lazio e la Lega resta con 57 senatori.
Poi ci sono quelli di Fratelli D’Italia, 18, pronti a votare sì al provvedimento, ma no alla fiducia. Idem i 62 di Forza Italia. Ma qui bisogna fare i conti con la fresca scissione di Giovanni Toti. Sembra che saranno 5 i senatori che seguiranno il governatore ligure.
Ma cambia poco: il voto sarà favorevole sul testo, astensione o abbandono dell’aula in caso di fiducia. Qualche altro voto potrebbe arrivare dal Gruppo Misto, tipo l’ex grillino Maurizio Buccarella.
Voteranno no il Pd, 51 senatori, i 4 di Leu, gli ex grillini Paola Nugnes. Gregorio De Falco, Saverio De Bonis, oltre a Emma Bonino e Riccardo Nencini. E poi i 3 autonomisti della Svp e il senatore valdostano Albert Lanièce. Diranno no altri due del gruppo autonomista: Gianclaudio Bressa e Pierferdinando Casini.
Poi ci sono i 6 senatori a vita. Difficile pensare che Piano e Rubbia si presentino al Senato il 5 agosto. E che, se votino, Napolitano, Segre, Monti e Cattaneo dicano sì alla fiducia sul decreto sicurezza. Così la maggioranza potrebbe arrivare a 158, forse 160 voti. Molti di più se il governo rinuncerà alla fiducia, come chiedono quelli di Forza Italia, votando solo il decreto.
Due esiti diversi dal diverso significato politico. In caso di discesa sotto la soglia dei 161 voti, le opposizioni grideranno infatti alla evaporazione della maggioranza e alla crisi di governo. Ma già a giugno la fiducia sul decreto Crescita era passata al Senato con soli 155 voti favorevoli e non era successo nulla. Anche perché i forzisti e quelli di Toti, più quelli di Fdi sono pronti a lasciare l’aula per dare una mano al governo.