La cittadella del sapere.

Anche la Storia dell’Arte ha il suo Parnaso. Si trova nel cuore di Firenze, il nome è quasi impronunciabile per noi italiani, Kunsthistorisches Institut (o Kunst): è una stazione di ricerca fra le più avanzate al mondo.

Appartiene alla Max Planck, rete planetaria di istituti scientifici — famosissima perché vanta più premi Nobel di qualsiasi altra istituzione – tutti sostenuti con risorse pubbliche e tutti localizzati in Germania, con due nobili eccezioni: Roma e Firenze. Nella comunità accademica internazionale non c’è chi non conosca questa cittadella del sapere, un capitale di 300.000 libri e 617.000 fotografie, custodito nel tempo e nutrito sistematicamente da nuovi acquisti. Uno spazio di conservazione della memoria, in prima linea ogni giorno nella conoscenza e nella difesa del patrimonio artistico italiano. Ne è convinto Salvatore Settis, professore alla Scuola Normale Superiore di Pisa e membro del Comitato Scientifico dell’Istituto: «Non si tratta solo di un ingente raccolta di libri e foto preziose: la qualità dei progetti di ricerca, le borse di studio distribuite, ma soprattutto la libertà di confronto respirata al Kunst, ne fanno un luogo unico in Europa».

Tutto questo si trova fra via Giusti (la Biblioteca) e Palazzo Budini Gattai di via dei Servi (la fototeca). Una storia che comincia nel 1897, quando Heinrich Brockhaus, professore di Lipsia, membro di una grande famiglia di banchieri ed editori, mette il salotto di casa a disposizione di un pugno di studiosi e intellettuali tedeschi, sedotti dall’arte italiana. Obiettivo: creare un luogo di studio specializzato nella disciplina che in Germania si è già guadagnata le prime cattedre universitarie, la Storia dell’Arte. Il successo è tale che – grazie al sostegno del governo tedesco — nel 1912 il centro studi si trasferisce a Palazzo Guadagni, da dove si trova ad affrontare le lacerazioni delle guerre mondiali, che lo travolgono. Per due volte, la comunità degli studiosi è dispersa. Per due volte il patrimonio librario e fotografico viene imballato e trasferito altrove, la prima — nel 1916 — agli Uffizi; la seconda — nel 1944 — addirittura in una miniera di sale a Heilbrunn, in Germania, a 180 metri sotto terra. Le mire nazionalsocialiste infiltrano la piazza del sapere, costringendola (non senza resistenze) a piegarsi. Dal gennaio ’44 in poi le porte di Palazzo Guadagni si chiudono, l’attività di ricerca è sospesa: il Kunst è ormai in mano al regime, e in una pazza danza di guerra, la sua dirigenza alterna una continua protezione ai monumenti italiani, con il supporto più o meno intenzionale al trafugamento delle opere d’arte in Germania (notori i saccheggi operati da Göring e dalla sua banda).

La fine della storia è nota, ma alla fine di entrambi i conflitti, ad una Germania sconfitta e sfinita, vengono restituite le collezioni, e soprattutto il diritto di continuare a lavorare in nome della scienza. Chi chiedeva l’esproprio a favore dell’Italia non riesce ad imporsi. Una scelta politica forse impopolare, ma coraggiosa. «Una scelta sostenuta da personaggi come il soprintendente fiorentino Giuseppe Poggi — commenta Costanza Caraffa, direttrice della Fototeca — In pratica si riconosce all’arte italiana il valore di patrimonio dell’umanità, e al Kunst una importante funzione super partes nella diffusione della sua conoscenza e nella sua tutela». Prevale il gesto politico in nome del superiore interesse scientifico, e del mutato clima internazionale. Ma forse non è solo «fraternità» nella scienza. «Penso che l’Italia avesse anche un interesse proprio — continua Settis — in fondo, era e rimane la prima beneficiaria degli studi e dell’azione dell’Istituto».

Oggi in via Giusti si conservano migliaia di volumi. Sono nelle stanze che furono di Palazzo Capponi-Incontri, in quelle che videro crescere i fratelli Rosselli, nelle sale che accolsero Andrea del Sarto e poi Federico Zuccari, tutte abitazioni acquistate dall’Istituto dal 1964 in poi. Sono testi accessibili nella (inconsueta) modalità dello scaffale aperto, cioè gli studiosi li esaminano direttamente, senza rimanere intrappolati nei lacci delle richieste ai bibliotecari. Fra i libri rari – spesso introvabili sul mercato – i testi originali delle Vite del Vasari, gli scritti del futurismo, e addirittura la prima guida turistica mai stampata al mondo. «È un libro di Francesco Bocchi del 1591 — spiega Jan Simane, direttore della Biblioteca — s’intitola La bellezza di Fiorenza , e può essere considerato a tutti gli effetti il primo ritratto di una città come opera d’arte, offerto ai viaggiatori senza motivazioni religiose o di altro tipo». Nell’archivio fotografico di Palazzo Budini Gattai invece, migliaia di scatti vengono comparati per costruire ricerca, narrando non solo le vicissitudini attraversate nel tempo da opere e monumenti (bellissima la serie sul David ), ma diventando essi stessi documentazione viva. Inciso sul corpo, ai margini dei cartoncini o sul retro, le foto portano infatti il racconto dell’evoluzione tecnologica, i tratti biografici dei proprietari, i mille dettagli che fanno di ogni scatto un pezzo unico. «È scorretto pensare che in rete si trovi tutto — continua Caraffa — È piuttosto il contrario: noi abbiamo scannerizzato solo il 10% delle nostre 600.000 foto. Il resto è a disposizione nelle sale dell’Istituto».

Stanze di lavoro che incarnano quell’ideale di raccoglimento e concentrazione destinato agli studiosi di tutto il mondo. È questo uno dei punti di forza del Kunsthistorisches Institut: lo spazio offerto all’incontro, la possibilità di fecondazione del pensiero incardinata nel dialogo, il capitale di progetti comuni, libri, idee che quel confronto genera. Le guerra sono riuscite a sospendere questo flusso, ma non ad arrestarlo. «L’Istituto — afferma il direttore Aby Warburg nel 1923, quando il Kunst torna ad abitare Palazzo Guadagni dopo lo strappo della prima guerra mondiale – non è uno strumento di possesso, bensì uno strumento musicale: chiunque ne sia capace lo può suonare, soltanto deve aver cura, nell’ininterrotta sinfonia degli addii che è la vita, di lasciarlo in eredità al suo successore nelle condizioni migliori».