La bellezza non s’improvvisa

Il futuro delle città

di Roberto Barzanti

 

A dire di molti le restrizioni imposte dalla necessità di contrastare la pandemia tuttora in corso, e soprattutto quelle che hanno inciso, e incidono, nella limitazione delle forme più abitudinarie di libertà, avrebbero per contraccolpo favorito una coraggiosa palingenesi o almeno approfondite autocritiche su storture accumulatesi con gli anni. A partire dalle dinamiche della mobilità, elemento non secondario nel senso comune. È comprensibile che le proteste di chi vorrebbe una più fruibile «città dei cittadini» siano sovrastate da quelle delle categorie che più stanno subendo difficoltà di enorme portata: commercianti e operatori legati ai flussi turistici. Non sarà possibile, però, migliorare qualcosa se non s’imboccano strade giuste, stabilendo un avveduto equilibrio tra sacrifici da sopportare in vista della sospirata ripresa e avvio di modifiche strutturali. È stato un azzardo immaginare esiti radicali o predire un ennesimo Rinascimento. In effetti si constata più la tentazione di rispolverare con nostalgia decrepite condizioni del secolo scorso che l’ansia di ricercare prospettive innovatrici. È un clima sconfortante quello che si respira a Firenze e in molti centri investiti da nodi analoghi.

Accenno solo a due punti sintomatici. Per la mobilità si è stati bloccati da dilemmi interminabili. Quando i dibattiti vertono su questo lato quotidiano dei nostri costumi si avverte uno sgradevole sentore di stantìo. La decisione di chiudere al traffico veicolare, in fasce orarie, parte dei lungarni fiorentini sta incontrando agguerrite avversioni. Le Ztl, le vantate zone blu, sono individuate come barriere alla ritrovata vitalità, ma anziché progredire in una revisione di quel che può servire di volta in volta, senza dogmi, scatta troppo spesso una nostalgia (di giorno sì, di notte no…) in nome di ragioni economiche che non sono frutto dell’ardua fusione di tutela estetica e funzionalità redditizia. La bellezza — termine quanto mai equivoco e sprecato corrivamente — e l’utilità non sono agli occhi dei più parametri da valorizzare insieme, secondo la più alta lezione del vero Rinascimento che tanti invocano a sproposito. Eppure è solo dalla reimpostazione in termini moderni di quel binomio che possono risorgere novità accettabili. Se un bene viene distrutto o logorato o degradato anche gli obiettivi economici e il godimento sociale sono destinati a vanificarsi o a diventare mezzucci per magri guadagni o esche per un kitsch obbrobrioso.

Quanti plausi ha raccolto l’omelia con cui il cardinal Betori ha ritirato fuori i concetti chiave che La Pira proiettava nella sua idea di Firenze: riposo, bellezza, contemplazione, pace, elevazione, proporzione, misura! Pur sfoltendo la sequenza delle sette parole-concetto di un esigente lessico, si dovrà convenire che esse non sono da relegare nell’astrattezza di principi ripetuti con ossequio retorico.

Sono da concretizzare laicamente in comportamenti e progetti limitati, ma ispirati a tensione spirituale e culturale. Bisogna guardare con fiducia oltre il drammatico presente. E in ballo non ci sono solo gli oscillanti malumori del capoluogo. A Siena, che è stata nel 1965 la prima città in Europa, ad allontanare dal suo cuore

antico un’opprimente motorizzazione, si fanno passi indietro per catturare nell’immediato il consenso di qualche rumorosa lobby.

Da ultimo — secondo punto — è emersa una proposta di marca renziana che suscita gravi interrogativi: un emendamento alla legge 65 del 2014 intende accordare ai Comuni toscani con non più di 5.000 abitanti (119) la facoltà di consentire in materia edilizia interventi da attuare a prescindere dal piano strutturale, ubbidendo alla casistica di un incidentale piano operativo. Il bello è che questo smantellamento normativo avverrebbe proprio quando è più che mai essenziale un urbanesimo qualitativo, non delimitato ai cosiddetti centri storici, ma in grado di coinvolgere spazi vasti — come la Grande Firenze — al fine di attenuare le vistose disparità tra privilegiate aree museificate e frammenti di confuse periferie: «Sono piccoli, si arrangino come desiderano!». Si punta a «movimentare» l’edilizia applicando grossolani rimedi e consegnando una parte dell’ambiente ed un paesaggio da salvaguardare ad un’anarchica intraprendenza. Sognare la palingenesi era troppo. Arrendersi ad una frettolosa improvvisazione di provvedimenti a macchia di leopardo sarebbe una disperata e illusoria resa.

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