il monte e l’onestà che serve
Che il Monte dei Paschi sia da etichettare spregiativamente come banca di sinistra per eccellenza e che tutti i guai siano derivati dalla sinistra, appunto, che l’avrebbe (s)governata è un luogo comune da sfatare, per onestà di analisi. La cesura nella storia di Rocca Salimbeni, si sa, è il 1995, quando l’Istituto di credito di diritto pubblico si trasformò in Spa. La Fondazione Mps avrebbe assunto il ruolo di sostegno ai progetti legati in prevalenza al territorio, mentre la banca avrebbe dovuto vedersela con logiche di mercato su una scala sempre più globale. Per non tagliare con un passato fecondo di risultati e fortemente intrecciato con la città e con un’economia da Terza Italia si volle che la Fondazione detenesse la maggioranza delle azioni e garantisse così di fatto una proprietà pubblica, accollandosi una difficile missione di collegamento con le istituzioni, il Comune in posizione egemone, che rappresentavano il pluralismo politico, associativo, culturale di un ambiente non certo soggiogato a un «pensiero unico». L’identità assunta prima di una riforma digerita a fatica non doveva essere cancellata. Occorreva che il ceto dirigente politico non coltivasse nostalgie improduttive. La difesa proprietaria di una grande storia non fu il fine caparbio di una conservatrice «sinistra». Tutti i partiti, già in fase di indebolimento, si eressero a guardiani di una sospettosa transizione. Tra gli azionisti c’erano Gaetano Caltagirone e Emilio Gnutti.
Immobiliaristi romani in quantità e energie del multicolore sistema cooperativistico. La Spa continuò a favorire aree e iniziative di segno diversissimo. Non è un mistero che Berlusconi ebbe in Mps il principale punto di riferimento per la sua attività edilizia. D’altro lato la Sorgenia di Debenedetti si giovò di una benevolenza eccessiva creando problemi non da poco. L’accordo con Axa ampliò al settore assicurativo, non estraneo a spezzoni significativi del mondo cattolico. Nella lista dei debitori morosi del Monte si annoverano nomi che compongono un «parterre ecumenico» come fu definito da una dettagliata inchiesta del 2017. Non c’è bisogno di rammentare il disastro dell’acquisizione di parte di Antonveneta, che coinvolse una miriade di manovratori anche sul piano internazionale. Il ceo di Unicredit Orcel ne sa qualcosa. Il passaggio a Nord Est fu salutato con euforia da osservatori bipartisan e sindacati. Ora sarebbe essenziale che, in vista delle eventuali nozze o della concorde convivenza in/con Unicredit, si puntasse al sodo. Il sindaco di Siena ha scritto una lettera strana a Draghi e a Franco chiedendo un incontro in cui si ascoltino posizioni, perplessità e richieste. Ma prima sostiene che i problemi sono insorti a causa di una politica non tecnicamente fondata e poi invoca una politica che sa di neoassistenzialismo pubblico. Non è il caso di partiticizzare in chiave elettoralistica i temi sul tavolo. Si parli un solo linguaggio e ci si muova sapendo che la situazione in cui il Monte naviga risale a plurime responsabilità, ma oggi conta interpretare un interesse generale.