In un momento in cui, a causa dell’esplodere della pandemia di Covid 19, si va imponendo in tutto il mondo il distanziamento sociale, il cosiddetto smart working e, soprattutto, la didattica a distanza, è quanto meno curioso imbattersi in un testo che tratta dell’imposizione forzata della digitalizzazione della cultura.
Il libro in questione è l’esordio di Marco Onnembo, La prigione di carta (Sperling & Kupfer, pp. 240, euro 16,90). L’azione prende il via quando il Congresso degli Stati Uniti approva la legge n. 341 «Sulla digitalizzazione e le nuove forme di apprendimento». In pratica, vengono aboliti i libri cartacei e ogni tipo di scrittura manuale, consentendo soltanto l’utilizzo di documenti in formato elettronico. Immediato ed evidente è il riferimento ai più classici testi distopici, da 1984 di George Orwell a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. E la mente del lettore corre subito anche ai roghi di libri o alle censure varie succedutesi nel corso della storia. Protagonista del romanzo è Malcom King, docente universitario di scrittura creativa, approdato al Trinity College di Brownsville, piccola città della provincia texana, dopo aver insegnato a Chicago e New York.
KING, IN MANIERA un po’ casuale, si ritrova alla testa del movimento di protesta democratico e non violento che si oppone alla nuova legge e, per questo, diviene il classico capro espiatorio: sarà arrestato, processato e condannato all’ergastolo. La storia, narrata quasi tutta in prima persona dalla voce del professor King, si sviluppa lungo due piani contrapposti. Da un lato, la vita serena prima della carcerazione del protagonista, dove emergono le figure della moglie, amatissima, Lynette e del figlio Buddy. Una situazione in qualche maniera idilliaca, all’interno della quale vengono riproposti ricordi ed esperienze, le lezioni che l’insegnante tiene e il rapporto che instaura con gli studenti, il legame di amicizia che lo unisce a Charlie, ricco rampollo di una famiglia dell’aristocrazia statunitense, fin dagli anni degli studi insieme.
A QUESTO SCENARIO si contrappone il racconto duro e crudo della vita in carcere, dove spiccano le prepotenze dei secondini, la violenza, ma anche momenti incredibili di amore e di tenerezza e dove Malcom, grazie all’appoggio del boss della prigione, riesce a ottenere carta e penna per compiere quello che rimane l’atto più sovversivo e in grado sempre di affermare la libertà e la dignità umana: scrivere.
Condotto con uno stile narrativo agile e chiaro, ricco di rimandi e riferimenti, soprattutto al cinema e alla musica, capace di mantenere il lettore incollato alla pagina e avido di sapere cosa avverrà dopo, il libro La prigione di carta è dotato di un finale inaspettato che spariglia le carte in tavola. Un finale che sembra dare un senso ulteriore alla prima pagina del romanzo che, quasi manzonianamente si apre con un anonimo che ritrova un manoscritto intitolato Lezione d’amore del professor Malcom King, lo legge e decide di condividere la storia.
TUTTO QUELLO che segue a questo inizio, infatti, cambierà totalmente di senso, acquistando una dimensione più profonda e significativa.
Romanzo denso di avvenimenti e di fatti, ma anche di riflessioni legate alla cultura, al pensiero critico, all’indipendenza del giudizio da una parte, alla manipolazione, all’omologazione e all’abuso del potere dall’altra, il libro di Marco Onnembo acquista ancor più rilievo oggi, alla luce dei dibattiti sull’istruzione, la trasmissione della cultura, la digitalizzazione, le nuove forme di didattica, per l’acutezza e la varietà degli spunti e delle domande che si possono ritrovare al suo interno.