Matteo Renzi ha combattuto una battaglia campale contro le intercettazioni e a favore della prescrizione. Negli stessi giorni il Gip Gaspare Sturzo ha rigettato (in parte) la richiesta di archiviazione per il presunto traffico di influenze sul caso Consip contestato a Babbo Renzi. Se proviamo a intersecare i piani della cronaca giudiziaria con quelli della politica scopriamo una chiave di lettura intrigante all’attivismo dell’ex premier. C’è un altro procedimento che vede indagato un amico dei renziani nel mondo della magistratura, il pm di Roma Luca Palamara, ex componente del Csm. In quell’inchiesta perugina come è noto ci sono ore di conversazioni imbarazzanti di Luca Lotti e Cosimo Ferri, due parlamentari amici di Renzi (non indagati), captate con il trojan iniettato nel cellulare di Palamara.

Cosa c’entrano questi procedimenti con il complesso iter politico delle riforme del ministro Alfonso Bonafede?

Le nuove norme sulla prescrizione introdotte dal Governo Conte si applicheranno solo ai procedimenti penali nati dopo il gennaio 2020. Anche la normativa sulle intercettazioni approvata ieri al Senato e che ora dovrà passare alla Camera entrerà in vigore solo per i procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile del 2020.

Quindi sia le nuove norme sulla prescrizione sia quelle sulle intercettazioni non si applicano a nessuno dei procedimenti che riguardano Tiziano Renzi, Luca Lotti (a giudizio per favoreggiamento nel caso Consip) o Luca Palamara.

Però c’è un aspetto interessante da considerare: Matteo Renzi ha visto gli effetti sulla vita pubblica, sulle carriere politiche e professionali dei suoi amici e familiari più stretti dei due istituti in discorso. Allora la domanda da porsi per comprendere la ragione della grande forza impressa da Renzi alla sua battaglia politica contro le intercettazioni e a favore della prescrizione è questa: cosa sarebbe accaduto se le nuove norme (volute dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede e osteggiate da Renzi) fossero state efficaci ai tempi del caso Consip o del caso Csm? E cosa sarebbe accaduto se il regime applicabile invece fosse stato quello auspicato da Bonafede e compagni?

Partiamo allora dal caso Consip. Gran parte delle intercettazioni che dovranno essere usate dai pm per proseguire le indagini contro Tiziano Renzi e compagni sono state captate grazie a microspie e trojan autorizzati dal Gip di Napoli al pm Henry John Woodcock che però aveva iniziato a indagare per reati diversi e più gravi di quello contestato al padre di Matteo Renzi.

Il traffico di influenze illecite ha una pena massima molto bassa pari a 4 anni e sei mesi e non permette ai pm le intercettazioni. Nel caso in questione erano state autorizzate dal Gip, non contro Tiziano Renzi ma contro Alfredo Romeo, per colpire una presunta associazione a delinquere con al centro Napoli e Romeo stesso. Intercettando l’imprenditore campano, per quel reato grave anche a Roma nei suoi uffici, era stata captata la sua fitta serie di incontri con Carlo Russo, il quale a sua volta parlava di Tiziano Renzi con Romeo, spendendo quel nome e quel cognome a sua insaputa a detta del Babbo.

Quelle intercettazioni erano utilizzabili però, secondo i magistrati napoletani e romani perché c’era una connessione tra l’indagine A su Romeo e quella B su Romeo e Renzi Sr.

La stessa interpretazione ‘lasca’ del concetto di connessione tra i due reati (cioé quello che ha permesso al pm di ottenere le intercettazioni e quello che ha scoperto ascoltando ‘a strascico’) è stata usata dai pm di Perugia per contestare ad alcuni magistrati che facevano presunte rivelazioni di segreto (reato non grave e non intercettabile con trojan) parlando con il pm Luca Palamara, indagato per corruzione, reato che permetteva il trojan.

A gennaio scorso però la Cassazione a Sezioni Unite ha improvvisamente cambiato orientamento e ha statuito che le intercettazioni ‘a strascico’ per un reato diverso e più lieve sono utilizzabili solo se il reato così scoperto per caso è a sua volta uno di quelli che permette l’intercettazione. La Corte ha così messo una mina sotto l’inchiesta Consip e sotto l’inchiesta Csm che certamente gli avvocati faranno esplodere alla prima udienza utile. Il decreto approvato ieri con la fiducia anche di Italia Viva (che ha votato senza Matteo e turandosi il naso) mette una toppa meno stretta del buco. Si prevede sì che si possano usare le intercettazioni a strascico ma solo se indispensabili ad accertare i reati gravi come la corruzione, quindi non il traffico di influenze contestato a Tiziano Renzi né la rivelazione di segreto contestata per esempio all’ex procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio sulla base delle parole captate dal trojan innestato nel telefonino di Palamara.

Quanto alla prescrizione, Tiziano Renzi e compagni sarebbero stati meno sereni se la legge Bonafede fosse stata in vigore già ai tempi dei fatti del caso Consip. Il traffico di influenze si prescrive al massimo in 7 anni e mezzo comprese le interruzioni processuali. Poiché i fatti dell’inchiesta Consip risalgono al massimo all’estate 2016, nell’ipotesi peggiore per Tiziano (al momento teorica) di un processo, la prescrizione scatterebbe alla fine del 2023.

Anche se Tiziano Renzi, va detto, non ha alcuna colpa se a distanza di tre anni e mezzo dai fatti i pm e il Gip non hanno ancora trovato l’accordo per fargli sapere il suo destino.