“In piazza nessuna bandiera di partito, solo quella della Francia”.

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Se non avessi incontrato, questa mattina, due giornalisti che mi hanno incoraggiato a scrivere della mia vicenda francese, probabilmente non lo avrei fatto. Vicenda che appartiene alla sfera personale, ma che, forse, dopo quello che è successo merita di essere raccontata. Nulla di eccezionale, ma utile, forse, a descrivere una società. Descrizione che aiuta a capire le grandi manifestazioni di piazza di ieri e dei giorni precedenti.

Da luglio del 2013 ho la doppia nazionalità quella italiana, ovviamente, e quella francese. Ottenuta quest’ultima dopo due anni di duro lavoro, di documenti contro documenti, di esami necessari per stabilire la mia conoscenza della Francia, di investigazioni fatte su di me e la mia famiglia. Ebbene dopo più di due anni nel settembre scorso, in una cerimonia ufficiale, mi sono stati consegnati i documenti identificativi, insieme alla dichiarazione dei diritti dell’uomo, a qualche articolo della costituzione francese, a una lettera del presidente della Repubblica che mi dava, come compatriota, il benvenuto in Francia. Lettera che sottolinea i miei diritti di cittadino francese e soprattutto i miei doveri. Cerimonia che si è svolta alla prefettura di polizia alla presenza del ministro competente, in una sala con il busto della Marianne, con tante bandiere e con il canto collettivo della Marsigliese alla fine. Celebrazione che mi ha molto colpito, lasciandomi un ricordo forte soprattutto delle parole del ministro: ricordatevi, cari compatrioti, che i valori su cui si regge la nostra Repubblica sono i tre famosi della liberté, della ègalite e della fraternité, con uno in più: la laïcité. Ebbene queste parole mi sono risuonate nella testa in continuazione dal 7 gennaio ad oggi. Aver visto la manifestazione di popolo di ieri mi ha fatto capire cosa significhino veramente questi valori e come siano vissuti dai francesi. Nessuna bandiera di partito, solo quella della Francia insieme ad altre bandiere di altre nazionalità. Ciascuno era presente con la propria specificità, ma allo stesso tempo parte di un tutto. Qualcuno ha scritto io sono Charlie, insieme a ebreo, poliziotto, mussulmano, algerino, era tutto questo, ma soprattutto era francese, era europeo. I valori illustrati dal ministro appartengono alla carne, al vissuto del popolo che manifestava. Cittadini che sono riusciti a trasformare un atto delinquenziale, il terrorismo è terrorismo non ha aggettivi, in un atto che ha dello stupefacente che ha rinnovato il patto fra l’individuo e la République. Chissà come e se lo sapranno raccogliere tutti quei capi di stato che erano presenti ieri a Parigi?

Non vorrei sembrare ingenuo, perché questa è una faccia della medaglia, l’altra è domandarsi: come sia possibile che un francese di origine straniera, di seconda generazione, che è stato formato sui valori sopra ricordati, possa uccidere altri concittadini del suo stesso Paese? Le risposte sono diverse e non ho la pretesa di dare delle soluzioni definitive. Due considerazioni, però, mi rimbalzano nella testa la prima è più generale e non riguarda soltanto la Francia e concerne le disuguaglianze sempre più crescenti. Disuguaglianze alimentate dalla crisi economica che nelle banlieue si sentono fortemente, così, come in tutte le periferie del mondo. L’altra, che non vuole essere come la prima giustificativa, è domandarsi cosa significa Occidente, e quali sono le patologie del nostro sistema di vita che annullano nei fatti i valori della convivenza sociale. Mi fermo qui scusandomi nella speranza di poter riprendere la discussione.

Pierluigi Piccini