Giovanni Papini, scrittore toscano tra i più interessanti del primo novecento, nella sua autobiografia mentale “Un uomo finito”, dedica un capitolo specifico ai propri maestri, compagni di solitudine e sventura che ribattezza: Fratelli morti. Pagine di struggente gratitudine, verso Whitman, James, Heine. Stesso spirito avrà mosso Marcello Veneziani, filosofo e scrittore rivoluzionario conservatore, mentre compilava i suoi “Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti” (Marsilio editore). L’opera riprende il suo titolo in ossequio a Cristina Campo, al suo saggio più intenso e celebre, “Gli imperdonabili”. In cui nel capitolo omonimo l’autrice si inserisce tra quegli autori scomodi, disimpegnati, liberi da mode e direttive. Che parlano all’eterno, all’anima del lettore come Borges, Benn e Tomasi Lampedusa. Il saggio di Veneziani al contrario dell’opera della Campo, non è una summa di saggi, ma una galleria di ritratti. È una lista di proscrizione del politically correct, il moma della cultura libera dagli umori neopuritani del nostro tempo. Una comunità di spiriti eroici che accompagnano ed illuminano il lettore contro il logorio del mondo moderno.
In questo atlante di irregolari si passa dai giganti, da Dante a Nietzsche, dal Principe all’infinito, passando per gli ideologi che mutarono il novecento come Spengler, Gramsci, Marinetti e D’annunzio. Ma nella Comedie Humaine di Veneziani non ci sono solo grandi classici, ma intelligenze pericolose e scomode come Benjamin e Pasolini, Mishima e Junger. Spiriti irrequieti per pensieri inquietanti. dalla solitudine stellare del tradizionalista Julius Evola a quella affollata di Pessoa e dei suoi eteronimi, dall’irrequietezza nomade del viaggiatore Chatwin ai riflettori cancerogeni della società spettacolare del situazionista Debord. Una cappella Sistina di maestri controversi e penne acidamente corrosive. Tra descrizioni di personaggi che furono sismografi di un’epoca incontrollabile, come Pareto, con la sua riflessione sull’élite, di una storia cimitero di aristocrazia a Pirandello, le sue maschere e i suoi timori, affrontando la perdita del sacro, l’avanzata della civiltà di massa, l’orrore fanatico dei gulag di Solzenicyn e l’avanzata dei totalitarismi.
Totalitarismi che vengono riassunti nel motto: “tutto è dentro, niente è fuori, e tutto quel che resiste viene fatto fuori”. Non dimenticando la stecca nel coro Montanelli, la fenomenologia del mondo dei consumi di Eco, eros e Marcuse. L’eterno di Severino, la terra di mezzo di Tolkien, i camaleontismi coerenti di Malaparte. Lui un camaleonte imperfetto nutritosi di “opposti radicalismi: fu fascista e maoista, difese Gobetti e Dumini per l’assassinio di Matteotti, elogiò Lenin e Farinacci, corteggiò Mussolini e Togliatti, finendo poi tra le braccia di padre Virginio Rotondi”. Tra ironia e semplicità, tra il mondo capovolto di Kraus e quello piccolo, popolare e genuino di Guareschi e del suo don Camillo. Il teatro dell’assurdo e gli scolii del testo implicito del mondo del reazionario Gomez Davila. Non dimenticando “presenze ed assenze profetiche” che cambiarono la storia della letteratura mondiale. Come Proust che in pieno futurismo percorse il novecento contromano, attraverso la memoria inseguendo le ombre del tempo perduto masticando zuccherate madelaine.
Borges le sue geometriche finzioni, architetture di sogni e numeri inventati, o Eliot, gigante che tiene ancora vivo quel fiore azzurro(simbolo della letteratura come spirito e tradizione) a cui Novalis dedicò il suo Enrico di Ofterdingen, unica speranza nella “waste land” di rottami moderni. Tra i volti noti si accavallano anche autori caduti in oblio, dimenticati, o mai scoperti. È il caso di Cristina Campo e Andrea Emo, scrittori postumi, la cui eredità era o incompleta o dimenticata in vita, di una sensibilità aristocratica, timida fino alla pudicizia nello scrivere, che gli impedirà di diventare scrittori grafomani, come Proust o Veneziani stesso. Nel libro tra approfondimenti intriganti e studi di personaggi l’autore immette riflessioni chiave per capire il presente. In Karl Marx, Veneziani, infatti, avanza la tesi che il marxismo nonostante il fallimento del socialismo reale e del comunismo dopo il 1989 è trionfato in occidente. Tesi apparentemente inverosimile, che la penna dell’autore argomenta identificando nel marxismo un movimento basato su una visione antitradizionale, contro la famiglia, gli stati nazionali, che auspica l’ateismo pratico, non negando dio ma ignorandolo
Tale deriva trionfa nonostante il crollo del muro nel politically correct, che abbandonato il compito di abbattere il capitalismo, si limita a giustificarlo. Nei suoi cento approfondimenti veneziani sfoggia una abilità nella ritrattistica degna di pittori e caricaturisti. Approfondendo personaggi lontani dal tempo e mostrandone più che l’attualità, l’eternità, la capacità di parlare oltre il tempo, di non avere contemporanei. Di umanizzare giganti e monumenti della cultura occidentale e non, rendendoli vitali, facendone notare l’uomo prima del’artista, l’idea e il simbolo che li accompagnava. Tirandoli fuori dall’oblio facendoli parlare e scoprire al lettore. Pennellandoli con solitudine e incomprensione, gioia e genio, sottraendoli all’abbandono, all’oblio. Oblio di una cultura ottusa e/o noncurante. Perché ciò che accomuna questi personaggi così diversi è la capacità di essere contro questo tempo, di raccontare nonostante le finzioni ed i veti della correctness una umanità dolente, trafitta dalla tecnica, imbavagliata dai benpensanti e depensanti, smarrita da una società frenetica e sradicata.
Scontrandosi con gli slogan del presente, le menzogne della comunicazione ed i dogmi del presente. Anacronistici perché contro un epoca di silenzio e mediocrità, intollerabili perché liberi e critici. Perché:
Sì, i grandi scrittori non sono quelli che rispecchiano il proprio tempo e il potere dominante, ma coloro che lo sopravanzano, lo contraddicono, sanno toccare le corde della nostalgia e della profezia per raccontare il passato e prefigurare il futuro. La grandezza è sempre inattuale, è un passo più indietro e due più avanti del proprio tempo.
Imperdonabili ritratti di un autore degno all’altezza delle proprie letture, una voce libera contro il coro, con il coraggio di indicare un sentiero privo di quelle belle chiacchiere che portano all’inferno. Imperdonabile veneziani e per questo irrinunciabile.