Il vero «Golpe Borghese», tutt’altro che sfumato

«Discutere della necessità di un colpo di Stato è stato endemico in Italia sin dalla guerra. La serie prolungata di crisi nell’ultimo anno, insieme al crescente livello di disordini sindacali, ha riportato la questione in primo piano. Sarei propenso a respingerlo di nuovo se non fosse per fattori aggiuntivi che mi sembrano rendere una tale minaccia più credibile ora di prima».

IL 7 AGOSTO 1970 l’ambasciatore a Roma, Graham Martin, spedisce a Washington un telegramma che informa dei piani eversivi del Fronte Nazionale (Fn) di Junio Valerio Borghese, l’uomo che gli agenti segreti Usa avevano salvato dalla giustizia partigiana come molti altri fascisti nel dopoguerra.

Martin non considerò l’operazione «Tora-Tora» un’iniziativa di vecchi arnesi del regime e, scrive l’ambasciatore, lo stesso pensava la direzione del Pci «poiché il 25 maggio, quando emerse un’altra voce del genere, non un solo dirigente comunista dormì nel suo letto quella notte».

Il 1970 si era aperto sull’eco della strage di Piazza Fontana ed il Paese, mentre diventava legge lo Statuto dei lavoratori e nascevano le Regioni, era attraversato da forte tensione.

Il 14 luglio esplose la rivolta di Reggio Calabria (5 morti, migliaia di feriti, 12 attentati dinamitardi, 23 scontri a fuoco). Il 22 luglio si consumò la strage di Gioia Tauro (6 morti, 72 feriti).

In Calabria Fn svolse attività «rilevante» – scrive un rapporto di Ps – inserendosi «nelle manifestazioni e nei disordini in combutta con gli altri gruppi dell’estrema destra Movimento Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale».

Borghese tenne due comizi a Reggio ad ottobre ‘69 e ad agosto ‘70 e in quell’arco di tempo si verificarono l’attentato alla questura (compiuto da uomini del Fn); l’inizio della rivolta; la strage di Gioia Tauro.

PRIMA DEL GOLPE, Fn – scrive il controspionaggio – aveva goduto di «cospicui finanziamenti». A Firenze «la quota concessa è stata così sostanziosa che il dirigente non è riuscito ad impiegarla» mentre a Milano «tramite il capo della massoneria locale» Borghese ricevette «assicurazione di poter fare affidamento sulla somma di due miliardi di lire».

Fn era deciso ad «insorgere» per sventare il «possibile inserimento al potere del Pci».

La notte del 7 dicembre il «golpe Borghese» prese avvio ma fu improvvisamente bloccato da un contrordine quando i congiurati erano già entrati nel ministero dell’Interno.

«Una riunione di numerosi elementi – scrive il Sid – appartenenti a Fronte Nazionale, Associazione Paracadutisti e Avanguardia Nazionale era stata dichiarata disciolta dagli organizzatori senza fornire dettagliate specificazioni».

Il 17 marzo 1971 il tentativo eversivo divenne pubblico con lo scoop di Paese Sera.

«L’operazione – scrisse la questura di Roma – avrebbe dovuto essere una prova generale per un colpo di Stato, un’azione di commandos, poi rinviata per inspiegabili motivi». Essa si proponeva «di creare panico e disorientamento al fine di rendere necessario l’instaurazione di un governo forte».

Degli avvenimenti – scrive il Sid – «non sarebbero stati all’oscuro l’Ammiraglio Birindelli (comandante navale Nato Sud-Europa), il Capo di Stato Maggiore della Marina e dell’Esercito, il Comandante della III Armata e delle fanterie del Sud-Europa e alcune personalità del Quirinale».

NONOSTANTE DEPISTAGGI e vanificazione dei processi (imputati tutti assolti) alcuni elementi storici sono oggi consolidati.

Il ruolo della P2 di Licio Gelli (che avrebbe dovuto rapire il Presidente della Repubblica); l’interlocuzione tra ambienti Usa e Fn con gli incontri tra l’agente Cia Hugh Fendwich e Remo Orlandini, braccio destro di Borghese; la conoscenza diretta del piano eversivo da parte del Sid; la mancata consegna alla magistratura (responsabili il generale Maletti e il ministro della Difesa Andreotti) di una dettagliata documentazione che indicava i nomi di partecipanti al golpe come l’ammiraglio Giuseppe Torrisi (poi asceso alla carica di Capo di stato maggiore della Difesa) e Licio Gelli.

LA PROSPETTIVA strategica dell’operazione, da parte degli apparati Usa coinvolti, non fu quella di un colpo di Stato come in Grecia ma il rafforzamento dei partiti di governo su base emergenziale.

Si spiegano così il contemporaneo finanziamento concesso da Martin al capo del Sid Vito Miceli, implicato (assolto) nel golpe e le informazioni fornite dalla stessa ambasciata Usa a Saragat, Colombo e Tanassi; nonché la funzione dalla P2.

Non fu un golpe da operetta. Gaetano Lunetta, responsabile Fn in Liguria spiegò: «Il golpe Borghese c’è stato davvero, siamo stati padroni assoluti del Viminale, è anche sbagliato definirlo golpe tentato e poi rientrato. Il risultato politico che voleva è stato raggiunto: congelamento della politica di Aldo Moro, allontanamento del Pci dall’area di governo, garanzie di una totale fedeltà filoatlantica e filoamericana. La verità è che il golpe c’è stato ed è riuscito».

 

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