Il Vaticano e i giochi dei faziosi

Realtà e misteri

 

 

di Massimo Franco

 

Non è la prima volta in quasi sette anni che Francesco e Benedetto mostrano di avere vedute non identiche: anche in materia dottrinale. Sono diversi in molte cose. In modo semplicistico, Jorge Mario Bergoglio viene etichettato come «moderno», mentre Joseph Ratzinger sarebbe «tradizionalista». Eppure, entrambi sanno che la loro coabitazione concorde ai vertici della Chiesa ha del miracoloso; ed è un bene troppo prezioso per essere sgualcita dalle polemiche. E tutti e due non possono e non vogliono incrinare un’unità già messa a dura prova da divisioni che la rinuncia di Benedetto XVI nel 2013 ha rivelato e drammatizzato; e che il pontificato di Francesco non ha sanato.

Le tensioni emerse in queste ore sul celibato dei sacerdoti tra quelli che impropriamente vengono definiti «i due Papi» sembrerebbero capaci di guastare la loro coesistenza pacifica. Eppure, ancora una volta la diversità innegabile tra le due figure apicali della Chiesa cattolica è destinata a non trasformarsi in conflitto. Un libro francese del cardinale conservatore Robert Sarah è stato strumentalizzato, facendolo apparire come scritto a quattro mani insieme con Benedetto, che aveva solo concesso un suo testo teologico su richiesta insistente di Sarah, e letto le pagine del cardinale. Tanto che ieri è stato chiesto di far cambiare la copertina e di eliminare la «firma» di Benedetto: richieste accettate.

Ma, al di là del pasticcio editoriale e dei suoi contraccolpi nei precari equilibri interni vaticani, l’episodio è rivelatore. Conferma quanto sia soggetta a forzature e strappi la lotta tra «progressisti» e «conservatori». E quanto, sia nello schieramento di Francesco che in quello di Benedetto, agiscano manipoli di pretoriani decisi a trasformare il loro rapporto dialettico ma sempre leale in uno scontro tra fazioni. Lo si era già visto nell’aprile del 2019, quando il papa emerito aveva reso pubbliche le diciotto pagine dei suoi «Appunti» sulla pedofilia, due mesi dopo il vertice mondiale delle conferenze episcopali organizzato a Roma da Francesco.

Si disse che era un colpo basso ordito da ambienti tradizionalisti contro la linea di Bergoglio. Qualcuno arrivò a sostenere che quella riflessione non era neanche di Benedetto, perché non sarebbe stato nelle condizioni fisiche e forse mentali per scriverla. Poi si è capito non solo che erano farina del suo sacco, ma che ne aveva informato anche per iscritto sia Francesco, sia il segretario di Stato, Piero Parolin; e che c’era stata l’autorizzazione papale a renderli pubblici. In quel caso, si notò un’acredine esagerata contro Benedetto da parte del «partito di Casa Santa Marta», la residenza del pontefice dentro il Vaticano; e un’ostilità altrettanto becera dei nostalgici di Ratzinger contro Bergoglio.

Il fatto che il tentativo riaffiori adesso non deve sorprendere. Il papato argentino vive una fase di affanno, se non di stasi. L’aggressività del fronte tradizionalista nei suoi confronti non accenna a placarsi, con spinte centrifughe che arrivano a evocare conati scismatici. E, in parallelo, si avverte una pressione crescente dei tifosi di Francesco, per spingerlo a prendere posizioni più radicali su temi come appunto la fine del celibato dei sacerdoti: a costo di spezzare davvero il compromesso del quale lui e Benedetto sono stati garanti in questi anni. Che i «due Papi» riescano a fermare il pericolo di una frattura interna, a questo punto, non è scontato.

La loro presenza in Vaticano, a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, è un’anomalia che accompagna da quasi sette anni il pontificato. Era imprevedibile, ai tempi della rinuncia di Ratzinger e dell’elezione di Bergoglio, il 13 marzo del 2013, sapere che forma avrebbe preso il loro rapporto in assenza di regole certe: era la prima volta dopo settecento anni. Né si poteva immaginare che Francesco sarebbe stato affiancato per un periodo così lungo dal «non papato» del predecessore tedesco. La versione ufficiale era infatti che la rinuncia di Benedetto XVI fosse legata alle sue condizioni di salute precarie, sebbene non solo da quelle.

In questi anni il Vaticano ha convissuto non solo con «due papi» ma con un doppio mistero: quello delle vere ragioni per le quali Ratzinger si è dimesso, e del patto tacito che lui e il successore avrebbero stipulato dopo il Conclave. E dunque dovrebbe meravigliare non tanto l’increspatura emersa negli ultimi giorni, ma il fatto che per tutto questo tempo il doppio mistero abbia preservato l’unità della Chiesa. È vero che in filigrana si intravede un’accentuazione del ruolo del papa emerito come guardiano della dottrina; e, sul versante opposto, la difficoltà di Francesco a frenare quei settori progressisti che, lungo l’asse Germania-Brasile, hanno premuto per un controverso Sinodo sull’Amazzonia: quello che ha innescato la discussione sul celibato dei sacerdoti.

Ma lo schema di Francesco «rivoluzionario» e di Benedetto «ortodosso» appare inadeguato, oltre che stucchevole. A novembre, sulla rivista tedesca Vatican Magasin , il giornalista Von Ludwig Ring-Eifel li ha accomunati in un giudizio spiazzante. «Benedetto XVI e Francesco hanno entrambi contribuito alla rapida destrutturazione del papato in pochi anni… Dopo che Benedetto aveva normalizzato il pontificato con le sue dimissioni», si legge tra l’altro, «Francesco ha inflitto un altro potente colpo con la sua diluizione e relativizzazione del papato». È un’analisi opinabile, ma potrebbe servire se invita tutti a uscire dall’imbuto sporco delle polemiche strumentali.

 

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