il valore del mondo aperto

 

di Dario Di Vico

 

Già nella metafora del lockdown appare chiaro che il Covid-19 è un formidabile attacco all’economia e alla società aperta e ne sanno qualcosa gli abitanti di New York e di Madrid. Non è quindi casuale che quest’offensiva in Italia si sia appuntata sulla Lombardia, la regione più versata agli scambi internazionali di persone e di merci, il territorio nel quale, ad esempio, è marcata la presenza delle aziende tedesche e sono più fitti i legami con il mondo cinese.

M a la Lombardia è anche una regione nella quale vivono consistenti comunità di espatriati da altri Paesi occidentali e le cui università sono frequentate da 2 mila studenti cinesi, mille indiani e mille turchi. Il Pil moderno dipende certo dall’esportazione di manufatti, le nostre macchine utensili e i nostri prodotti belli e benfatti, ma sempre di più anche dalla capacità di attrarre investimenti e talenti. La Milano ante-virus l’aveva capito ed era diventata una città nella quale poteva decidere di trasferirsi un grande designer straniero o accettare di rimpatriare uno dei nostri cervelli. Spiega la scienza economica più avvertita che l’appeal di un territorio oggi è determinato dalla vivacità degli stili di vita, dalla sperimentazione di nuovi format commerciali, da una vita artistica e culturale ricca di stimoli e da quella che gli anglosassoni chiamano diversity, la capacità di pescare soluzioni in nuovi recinti e di puntare sul protagonismo di nuovi soggetti. E infatti il mercato del lavoro lombardo e milanese vede i flussi di occupazione femminile lottare testa a testa con quelli maschili e la presenza delle donne non è confinata solo nei settori tradizionalmente femminili come la scuola, ma influenza largamente gli organigrammi del terziario avanzato. La Lombardia degli anni Dieci ha saputo sposare sviluppo e progresso civile ed è riuscita a conciliare due orientamenti di lungo termine: a conservare un forte tratto comunitario in cui laboriosità e pragmatismo sono concetti fondanti e insieme sperimentare/costruire i valori della modernità. Certo, il tutto con qualche errore e qualche inevitabile esagerazione, come quelle che ha saputo cogliere e mettere a nudo l’affilata satira del Milanese Imbruttito.

Analizzando la mappa del contagio colpisce come l’epicentro sia dislocato su un asse Nord-Sud che va da Bergamo a Piacenza con al centro la piccola città di Codogno e i legami dei suoi operosi abitanti con i territori circostanti. È una zona in cui industria meccanica, settore primario, trasformazione dei prodotti agricoli e logistica sono le specializzazioni più rilevanti. Un territorio aperto al mondo e nel quale convivono più culture. Se dal punto di vista politico la Lombardia è stata laboratorio del riformismo di sinistra, del cattolicesimo politico democratico e del leghismo, sul versante antropologico oggi appare una combinazione originale di cultura industriale, aspirazioni cosmopolite e persino radicamento contadino. Quella che consideriamo la città martire, Bergamo, rappresenta infatti una straordinaria mescolanza di tradizione e innovazione, di attaccamento quasi religioso al lavoro e di Kilometro Rosso. E come tale merita l’attenzione di tutti gli italiani non solo per il sacrosanto rispetto che va portato ai suoi troppi morti ma anche per l’omaggio che è giusto riconoscere ai suoi vivi. Toccherà ai geografi mostrarci come il contagio non abbia investito con la stessa violenza Milano ma la stia lavorando ai fianchi. I corridoi spiegano l’estensione su Piacenza ma non il focolaio di Vo’, per fare solo un esempio. Prima del virus comunque queste terre coltivavano ambiziosi progetti: Milano da città apprezzata nel mondo per la moda e il design voleva diventare un hub della scienza e della formazione universitaria, la Lombardia puntava a consolidare la trasformazione della sua manifattura 4.0 per rafforzare le posizioni raggiunte nelle grandi catene internazionali del valore.

Uso l’imperfetto non perché quegli obiettivi vadano cestinati ma per sottolineare come la Lombardia si senta ferita. Senta il peso della discontinuità che le è caduta addosso. Il mito dell’efficienza e degli standard europei della sua sanità – che consente un’aspettativa di vita di 83,25 anni poco distante dal Trentino – è stato crudelmente azzerato dalla pandemia che a sua volta ha messo a nudo un difetto di fabbricazione: l’eccellenza verticale a totale scapito della protezione orizzontale, la specializzazione ospedaliera perseguita dimenticando la medicina di territorio. A ferire la Lombardia poi hanno concorso gli errori commessi dalle autorità locali che hanno finito per causare la decimazione degli anziani nelle Rsa, le incertezze nel decretare per tempo la zona rossa di Alzano e Nembro e altre pecche che il Corriere in questi giorni difficili ha raccontato e denunciato. Da questi errori si dovrà ripartire adottando il miglior spirito lombardo ovvero studiando quelle che si sono rivelate le migliori pratiche, dalla programmazione tedesca al caso veneto che mostra un indice di letalità pari a un terzo di quello della regione limitrofa. La fase 2 che seguirà all’isolamento dovrà essere il banco di prova nel quale testare tutte le riserve di cultura, progettazione e innovazione della regione e delle sue università per declinare la discontinuità di cui sopra innanzitutto come capacità di progettare il nuovo. Le soluzioni della società post-pandemica.

Non fosse scoppiata l’emergenza in questi giorni vi avremmo raccontato una nuova edizione del Salone del Mobile di Milano, una straordinaria manifestazione che ogni anno in primavera fa della metropoli lombarda la capitale mondiale del gusto e della bellezza, un appuntamento che realizza un’originale sinergia tra la metropoli dei servizi e il contado manifatturiero e il cui risultato va ben al di là dell’esposizione di bellissimi oggetti. Ma porta in città le migliori intelligenze del pianeta in un’atmosfera di serrato confronto culturale e anche di festa. Nessuno francamente può dire di aver respirato negli stand della fiera o negli eventi del Fuorisalone un’insopportabile ed egoista «monocultura del profitto». Caso mai avrà condiviso quell’atmosfera gioiosa e persino ludica di cui oggi sentiamo fortemente la mancanza.

 

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