di Floriana Bulfon
Il segretario del cardinale Becciu camuffa le operazioni con finalità sociali: “Sennò iniziano a impallinarci che famo solo attività speculative”
ROMA — Un documento straordinario di 59 pagine solleva il sipario sul verminaio di corruzione che ha travolto il Vaticano. Onnipotenti e rapaci, hanno architettato operazioni diaboliche per depredare la Santa Sede e messo persino le mani sul conto riservato di Francesco, la più protetta delle casse vaticane. È il ritratto impietoso dell’assalto alle finanze vaticane che emerge dalla rogatoria presentata dalla procura pontificia: la ricostruzione di un saccheggio da 454 milioni. L’indagine parte dal grande scandalo dell’immobile di Londra attorno a cui si muove una folla di monsignori, broker, avvocati di affari e dove Papa Bergoglio resta una macchia bianca circondata da anime nere che lo hanno tradito.
La sintesi degli inquirenti è sconvolgente. «La Segreteria di Stato finanzia l’operazione londinese con linee di credito del Credit Suisse e della Banca della Svizzera Italiana per 200 milioni di dollari garantite attraverso la costituzione del pegno di valori patrimoniali posseduti dalla Segreteria di Stato e rinvenienti nelle donazioni dell’Obolo di San Pietro». Ossia dei fondi per le elemosine, messi a servizio delle speculazioni per importi ancora indefiniti «che possono arrivare fino a 454 milioni di euro».
Dagli investimenti ai ricatti
L’obiettivo dell’investimento è comprare l’edificio che ospitava la sede di Harrods in Sloane Avenu. Ma il valore del palazzo lievita miracolosamente. «Prima della sottoscrizione delle quote da parte della Segreteria di Stato viene realizzata dai gestori del fondo una consistente rivalutazione contabile che, allo stato delle investigazioni, non sembra trovare una valida ragione economica», scrivono il Promotore di giustizia Gian Piero Milano e il suo aggiunto Alessandro Diddi. E nell’affare vengono coinvolte «tante società di cui non è possibile conoscere i finanziatori. Dai file presenti nel pc di Fabrizio Tirabassi (dipendente della Segreteria di Stato ndr ) si apprende che Raffaele Mincione sarebbe “amico del capo di Cheyne”». Mincione emerge dal dossier come il regista delle manovre: il raider venuto da Pomezia, attivo in partite che vanno dallo scontro per la banca genovese Carige a quella per il controllo di Retelit, in cui era assistito dall’avvocato Giuseppe Conte fino a pochi giorni prima dell’insediamento a Palazzo Chigi, è onnipresente. Intorno a lui c’è un vortice di sigle che servono solo a inghiottire denaro, scatenando gli appetiti di gruppi di potere.
Così entra di mezzo la misteriosa Gutt Sa, realtà lussemburghese posseduta da Gianluigi Torzi, finanziere considerato “ad alto rischio” e inserito nelle liste mondiali di bad press , «con contratti sottoscritti da monsignor Alberto Perlasca in qualità di procuratore del sostituto monsignor Edgar Peña Parra. La Gutt Sa agisce come agente della Segreteria di Stato per gestire l’immobile. E la Segreteria si impegna verbalmente a corrispondere a Gutt Sa una somma del 3 per cento pari a 10 milioni di euro. Tale accordo non risulta formalizzato in alcun contratto». Bastano la parola di Perlasca e di Tirabassi, un funzionario degli uffici vaticani con tanto di conto allo Ior da cui grazie alla voluntary disclosure regolarizza un milione di euro. Perché si sceglie la Gutt Sa? Tirabassi sostiene di essere stato vittima di un ricatto: «Un’estorsione perpetuata da Torzi». Gli inquirenti credono che questa versione «con ogni probabilità, cela un clamoroso artifizio ben orchestrato, con la complicità di Tirabassi e forse di altre persone». Il risultato finale è disastroso. «Le quote del fondo perdono 18 milioni euro. L’operazione Gutt Sa genera una perdita di 100 milioni. In sintesi, a fronte di un esborso di 250 milioni, la Segreteria di Stato si trova proprietaria di un immobile che sulla carta varrebbe 260 milioni ma per assicurarsi la proprietà del quale alla fine dovrà sostenere un costo (al netto degli interessi dei mutui) pari a 363 milioni».
L’affare per i consulenti
Ci sono personaggi che si rivestono d’oro. L’avvocato Nicola Squillace dello studio Libonati Jaeger riceve «200 mila euro per un generico incarico di consulenza legale, oltre 150 mila per una serie di professionisti da lui indicati». E subito dopo emette un’altra fattura da 364 mila euro. Il Vaticano non paga. Ma lui supera l’ostacolo. «Attraverso questo giochetto dunque non solo l’avvocato Squillace con la complicità di Gianluigi Torzi riesce ad aggirare il veto ma addirittura a farsi corrispondere 17 mila euro in più».
Complessivamente ben 711 mila euro sono inghiottiti da consulenze inspiegabili. Ci sono poi studi inglesi che mettono le mani su milioni senza titolo.
Si sentono onnipotenti. Tirabassi e monsignor Perlasca si infilano persino nel «Fondo Discrezionale di Ubs creato nel 2015 per le spese discrezionali del Santo Padre e dallo stesso autorizzate». Da lì prendono 20 milioni di sterline per Torzi. Che fattura 5 milioni come consulenza per altre operazioni immobiliari proposte ai monsignori: un hotel a Milano in zona San Siro, un palazzo in Piazza Cavour, uno sulla 5th Avenue di New York, un hotel per l’Expo di Dubai. Sembra Monopoli, non il Vaticano.
Finanza e sanità
Dalla rogatoria emerge un fronte nuovo e assai torbido di investimenti pontifici. La cartolarizzazione dei crediti avanzati da ospedali privati e cooperative nei confronti delle Asl. Società che si inseriscono così nei rapporti del Fatebenefratelli di Roma con la Regione Lazio. E soprattutto il Vaticano si lega a una cooperativa, la Osa, che grazie alla raccomandazione di Tirabassi ottiene un contratto record dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Affidato a un soggetto che viene segnalato «per forti legami e ambienti e persone della camorra pugliese (Clan Campana e Sacra Corona Unità)». Ma ci sono altre iniziative simili, ad esempio con il Gruppo Villa Maria. È questo l’humus di intrallazzi da dove nascono i rapporti dentro San Pietro che poi mettono in condizione Tirabassi e Torzi di creare l’operazione Gutt Sa «una manovra ben pianificata per realizzare un’ingente depredazione di risorse delle Segreteria di Stato che non ha eguali ».
Le mani ovunque
Il cardinal Angelo Becciu entra trasversalmente nella partita tramite il suo segretario, Monsignor Mauro Carlino. Di cui i magistrati sottolineano «la particolare disinvoltura con la quale si muove nelle alte sfere della gerarchia dello Stato, l’incessante attività posta in essere con personaggi del mondo della finanza per realizzare nuove iniziative di tipo imprenditoriale». Incontra Luca Dal Fabbro, presidente di Snam per discutere della rinegoziazione del mutuo sull’immobile londinese e di nuovi progetti, sempre con il giro di Raffaele Mincione e con «Preziosi di Genova (verosimilmente Enrico Preziosi, noto imprenditore della Giochi Preziosi colpito da una misura cautelare e indicato dallo stesso Dal Fabbro come personaggio “molto chiacchierato”)». Carlino incontra una figura enigmatica: Giovanni Ferruccio Oriente, «che dalle intercettazioni parrebbe avere accesso al ministero dell’Interno italiano. Costui sembrerebbe essere in grado di accedere ai registri di notizie di reato di tutte le procure, è informato degli affari di Torzi (indicato da lui come soggetto che si era avvicinato a Giulio Tremonti e Franco Frattini) ma soprattutto parrebbe essere in strettissimo contatto con Gianluigi Nuzzi che si appresterebbe a scrivere un libro con documenti usciti dal Vaticano». Intavola affari pure con Mauro Di Lello, «imprenditore e procuratore di giocatori di calcio». Infine discute di un’operazione sulla tenuta dell’Acquafredda di proprietà dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica: «Monsignor Carlino mostra di essere ben consapevole che l’iniziativa deve essere camuffata con finalità sociali perché “sennò iniziano a impallinarci che famo solo attività speculative o commerciali”».
Non si salva nessuno. I magistrati vaticani perquisiscono pure Tommaso Di Ruzza, direttore dell’Autorità di informazione finanziaria ossia di chi deve vigilare sui conti della Santa Sede per impedire manovre oscure. Ma «che ha svolto un ruolo non chiaro nella vicenda di Londra. Non ha in alcun modo percepito le anomalie dell’operazione», nonostante abbia intrattenuto una corrispondenza con i soggetti coinvolti. Di più: «Di Ruzza ha confezionato su carta intestata dell’Ufficio una delega a operare a favore di Torzi in qualità di intermediario». E si è scoperto che è intestatario di una società inglese chiamata Aquinas Foundation: su di lui le indagini procedono. Per cercare di capire come è possibile che tanti prelati, spesso nominati da Papa Francesco, siano stati pronti a tradire la missione per riempiersi le tasche di quattrini.