IL RISCHIO DEL DISASTRO SOCIALE

LA CRISI ESASPERA LE DISEGUAGLIANZE
l’analisi
di massimo Cacciari
Ciò che è stato fatto non può essere cancellato – ma neppure quello che non è stato fatto può esser fatto quando ormai è troppo tardi. Sul latte non versato è inutile piangere quanto su quello versato. La seconda ondata era prevedibilissima e occorrevano più strutture di terapia intensiva, più medici e infermieri, indirizzi precisi per medici di base e sanità sul territorio. Sono responsabilità politiche che non si possono dimenticare. E responsabilità tutta politica è quella per cui, malgrado le esperienze della scorsa primavera, siamo punto e capo nello sconquasso istituzionale dei rapporti tra Amministrazioni locali, Regioni e Governo. So bene che tale sconquasso ha cause storiche, affonda nel fallimento di ogni serio disegno federalista in questo Paese – ma almeno un “chiarimento”, onde evitare il ripetersi di scene penose, sarebbe stato, penso, legittimo aspettarselo. Ora l’ombra della crisi si allunga ben oltre la questione nuovi lockdown sì o nuovi lockdown no. È crisi economica che innesca colossali problemi di ordine sociale. Il nostro futuro si gioca intorno al modo in cui verranno affrontati. Forse non è troppo tardi per rimediare a forme di “comunicazione” che inducono a comportamenti del tutto irrazionali. Le file per fare i tamponi o la corsa ai Pronto Soccorso per sintomi minimi o addirittura nessuno produce più contagi che il non tenere la mascherina lungo strade deserte.
«Comunicare» ai propri concittadini dati che facciano senso (quanti sono in percentuale dei contagiati gli asintomatici, i lievemente sintomatici, quelli che hanno davvero bisogno di ricovero e tra questi i gravissimi), invece di “sparare” quotidianamente, per giornali e tv, dei numeri in assoluto, aiuterebbe certamente ad affrontare l’«ondata» con maggiore consapevolezza e quindi con maggiore efficacia. Ma, ripeto, ormai il fronte si è spostato, o, meglio, a quello sanitario-ospedaliero si è aggiunto l’altro, quello sociale, e per quest’ultimo la situazione appare, se possibile, ancora più drammatica.
La crisi esaspera, e non solo da noi, contraddizioni e disuguaglianze tra settori economici e ceti sociali fino a generare ingiustizie intollerabili per un regime democratico. Se un Governo(democratico, appunto) non combatte questa tendenza con la massima decisione, la crisi è destinata a esplodere e questo Governo a fallire. Finora non la si è combattuta. I provvedimenti adottati hanno penalizzato drasticamente alcuni, “salvato” o quasi altri e altri ancora sono rimasti al sicuro e si illudono di poterci per sempre rimanere. Imprese commerciali, filiera turistica, trasporto privato, spettacolo, con il loro esercito di lavoratori stagionali e precari, sono colpiti in pieno dalle norme passate e presenti; bar e ristoranti si chiudono a prescindere dalle loro dimensioni e dalle misure di sicurezza adottate (e implicitamente le Autorità ammettono con questo di non essere in grado di farle rispettare), mentre ciò non avviene per altre attività che (fortunatamente)possono continuare. I professionisti di calcio, basket, pallavolo, tennis possono “godere” (fortunatamente) di un po’ di pubblico, quelli dello spettacolo no – e si vede che convegni, conferenze, ecc., sono tutte attività dilettantistiche (la cultura, infatti, è “divertimento”, diceva un Presidente del Consiglio). All’opposto, i dipendenti del settore pubblico o para-pubblico continuano, smartworking o meno, a ricevere il proprio stipendio, al riparo da Cig e dall’angoscia di fallimenti e licenziamenti. Insomma, si stanno creando disparità di reddito e di condizioni di vita assolutamente incompatibili con il significato stesso del termine “democrazia”. Ne abbiamo coscienza? Finora non mi è parso, ma oggi non vi è un istante da perdere. Occorrono massicci interventi a sostegno dei settori colpiti che, a differenza di quelli per la prima «ondata», giungano direttamente agli interessati, siano immediatamente tangibili, senza odiose mediazioni bancarie e burocratiche.
Facile a dirsi – ma come? Ogni vacua promessa, ogni ulteriore rimando e rinvio, non faranno che aggravare la crisi sociale. Il Governo – questo, come quello di molti altri Paesi europei – dovrà finalmente dichiarare con quale strategia economica e finanziaria intende affrontare l’esigenza imprescindibile di non esasperare le disuguaglianze, di sostenere le condizioni di vita di milioni di cittadini, che i suoi provvedimenti (giusti o sbagliati a questo punto conta, ma conta poco) minacciano di rovinare. Illudiamo la gente che i soldi ci siano? Illudiamo che sarà l’Europa a regalarceli? L’Europa sosterrà progetti di ricostruzione, non quei provvedimenti di assistenza e protezione oggi comunque necessari. A questo dovremo pensare noi, se vorremo pensarci. Aumentando a dismisura il nostro debito, così da rovinare definitivamente figli e nipoti? O invece attraverso eque politiche fiscali e redistributive, distribuendo, cioè, il carico dei necessari sacrifici tra tutti i settori della nostra società? La seconda è la scelta obbligata. Strategia difficile, magari sulle prime impopolare, come tutte quelle che si fondano sul principio di un’autentica solidarietà tra ceti e interessi diversi, ma se questa mancherà ancora, usciremo da questa pandemia (destinata a finire per forza ) malati a morte, malati a morte proprio come società.