Il referendum a rischio

Il 26 settembre 2021 ha rappresentato un giorno a due facce per molti berlinesi. Quel giorno, un referendum rivoluzionario per pubblicizzare le proprietà delle più grandi società immobiliari della città è stato approvato con una clamorosa maggioranza del 59,1%, suscitando entusiasta incredulità tra residenti e attiviste per il diritto alla casa in tutta Europa. Definita da molti «esproprio», la mossa annuncia il riacquisto obbligatorio di edifici privati e appartamenti che un tempo erano di proprietà dello stato. Eppure lo stesso giorno ha visto anche i socialdemocratici (Spd) – un partito apertamente contrario a questo «esproprio» – arrivare primi alle elezioni per il Senato di Berlino. Sono le contraddizioni della democrazia.

Una spiegazione sta nel fatto che molti berlinesi, inclusi anche alcuni attivisti di base della campagna della Deutsche Wohnen & Co. Enteignen (Dwe) che sosteneva il referendum, hanno appreso solo in seguito che il risultato non era di fatto vincolante. In ogni caso, ben presto si è capito benissimo che la composizione del nuovo Senato poteva creare non pochi problemi al provvedimento.

I negoziati post-elettorali hanno visto l’Spd, i Verdi e la sinistra Die Linke formare una nuova maggioranza, gli stessi partiti della precedente amministrazione. Tuttavia, nella nuova disposizione, Die Linke – l’unico partito che ha ufficialmente sostenuto il referendum prima del voto – ha perso la posizione strategicamente importante del Senato per lo sviluppo urbano, l’edilizia e l’edilizia abitativa a favore di Andreas Geisel dell’Spd. Die Linke è stata costretta a cedere a causa della sua posizione indebolita in seguito alle battute d’arresto nelle elezioni di settembre, un fatto esacerbato dalla dichiarata preferenza della socialdemocratica Franziska Giffey a lavorare con il Partito liberale (Fdp). La partecipazione di Die Linke alla nuova coalizione è stata assicurata solo grazie all’insistenza dei Verdi.

Per gli attivisti del Dwe, aver perso il sostegno ministeriale è stato un duro colpo: «L’unico motivo per cui abbiamo ottenuto il Mietendeckel (tetto all’affitto) nel 2020 è legato al fatto che Die Linke avesse ricoperto questo incarico», spiega il cofondatore di Dwe Ralf Hoffrogge. L’aumento vertiginoso degli affitti in un settore un tempo economico e dell’edilizia popolare ha portato a una serie di mobilitazioni negli ultimi anni, delle quali il tetto agli affitti è stato, per un certo periodo, la vittoria più importante. Ma di fronte a dure sfide legali da parte degli interessi immobiliari e dei loro alleati, si è rivelato difficile tradurle in legge. In questo contesto, Hoffrogge è preoccupato: «Temo che Geisel porrà ostacoli lungo tutto il percorso e renderà il nostro lavoro molto più difficile».

La commissione di esperti

Il governo della città ha creato una nuova commissione di esperti di dodici persone (ogni partito della coalizione, con i promotori del Dwe, che hanno potuto nominare tre esperti) per esaminare se e come la legge sull’esproprio può essere attuata. Per Hoffrogge, questo è il primo ostacolo alla realizzazione concreta del voto. Alla commissione è stato concesso un anno per stabilire la costituzionalità e la fattibilità finanziaria della socializzazione del patrimonio immobiliare; e quindi, in base alle risposte a queste domande, presentare chiare opzioni politiche per la migliore attuazione. «La commissione di esperti è solo un modo per la coalizione di governo di fingere di rispettare il referendum, ritardando nei fatti la decisione e sperando che un numero sufficiente di persone se ne dimentichi in modo da poterla abbandonare senza contraccolpi. I politici contano sull’amnesia della stampa e del pubblico – sostiene Hoffrogge – Ci sono già state diverse valutazioni giudiziarie. Ce n’era una nel 2020 che è durata oltre 400 giorni. Se fosse stato contro la legge, non avremmo mai potuto tenere il referendum in primo luogo».

La sfiducia di Hoffrogge è stata esacerbata poiché il governo della città ha tenuto a lungo Dwe all’oscuro del processo: «Hanno fatto tutte le nomine alla commissione senza consultarci. Poi, dopo mesi di deliberazioni a porte chiuse, ci hanno detto che avevamo una settimana per scegliere i nostri candidati. Non è stato un processo partecipativo, hanno posto una scadenza palesemente irrealistica per un’organizzazione che prende tutte le sue decisioni in modo democratico. È stato assolutamente irrispettoso».

Un cattivo presagio? Forse. Ma gli alleati di Dwe alla Camera dei rappresentanti di Berlino vedono le cose in modo diverso. Katrin Schmidberger, portavoce dei Verdi sui temi della casa, è favorevole all’esproprio. Dopo il pessimo precedente stabilito nel 2021, quando un tetto all’affitto approvato a livello cittadino un anno prima è stato revocato dalla Corte Costituzionale, chiede cautela: «L’esproprio non è questione semplice, dal punto di vista giuridico, amministrativo ed economico. Abbiamo la responsabilità di farlo bene. Se sbagliamo e verrà respinto dalla Corte costituzionale, creerà un precedente legale e lo strumento sarà effettivamente morto. Ciò non avrebbe solo conseguenze negative per Berlino, ma anche per altre città. Credo che la commissione sarà in grado di fornire buone risposte alle tante difficili domande, quindi saremo in una posizione migliore per vincere alla Corte costituzionale e per superare qualsiasi resistenza futura al Senato». Tuttavia, si rammarica del fatto che Dwe non sia stato incluso in una fase precedente: «È stato un errore. Penso che sia di vitale importanza che Dwe sia una parte centrale del processo».

Allo stesso modo, Niklas Schenker, responsabile di Die Linke sul diritto all’abitare a Berlino, vede la commissione come «un compromesso necessario. L’Spd non avrebbe mai accettato di entrare in coalizione senza di essa. La decisione sull’esproprio è stata posticipata, è vero, ma almeno così resta aperta la possibilità di attuarla in futuro». Nonostante ciò, è pessimista riguardo alle intenzioni dell’Spd: «Sperano di trasformare quella che dovrebbe essere davvero una questione politica in una legale. Vogliono che la commissione dica che non è legalmente possibile, quindi possono assolversi dalle responsabilità»

I timori di Schenker sembrano essere confermati dai candidati dell’Spd per la commissione. Hanno selezionato tre esperti di diritto tutti conservatori: Michael Eichberger, un ex giudice della Corte costituzionale federale nominato a quella carica dalla Democrazia cristiana; e Christian Waldhoff e Wolfgang Durner, due professori di diritto pubblico che hanno entrambi espresso in precedenza opinioni legali di minoranza contro l’espropriazione. Più che fare in modo che la commissione capisca come attuare al meglio l’esproprio, l’Spd sembra volere che si concentri sulla sua legittimità, con la speranza che la risposta sia un sonoro no. L’ironia è – dice Hoffrogge – che poprio l’Spd ha creato l’articolo 15 [sull’esproprio], settant’anni fa. Ora stanno assumendo dei conservatori per cercare di seppellirlo!».

L’esito della commissione non è scontato. È probabile che la maggior parte dei suoi membri preferisca l’uso dell’articolo 15, poiché Die Linke e i Verdi sostengono entrambi ufficialmente l’attuazione. Tuttavia, «non è solo una questione di numeri, ma anche di credibilità e di come viene condotta la commissione» spiega Schenker. Gli incaricati dell’Spd sono «pesi massimi» molto rinomati e le loro argomentazioni non potranno essere respinte facilmente. «In definitiva, dobbiamo avere le argomentazioni migliori», afferma Schenker.

In pratica, la commissione è costituita in modo da lasciare spazio ai pareri di minoranza nella relazione finale e quindi produrrà probabilmente un risultato misto. «Probabilmente ci sarà più di una raccomandazione alla fine – prevede Schmidberger – quelli di entrambe le parti giustificheranno le loro posizioni in dettaglio, descrivendo come e perché l’implementazione funziona o non funziona. Potrebbe anche esserci una scelta di possibili strade». Schmidberger sta spingendo affinché gli incontri siano aperti al pubblico, poiché ritiene che in questo modo la commissione risulterà favorevole con più determinazione: «Con maggiore trasparenza non sarà possibile per gli avvocati dell’Spd semplicemente far deragliare il processo. Dovranno impegnarsi nel discorso e fornire argomentazioni basate sull’evidenza. Se non sono convincenti, presumo che la commissione farà una raccomandazione positiva». Il Senato, tuttavia, ha esitato su questo tema, esacerbando ulteriormente i dubbi degli attivisti del Dwe. Gisèle Beckouche, rappresentante della campagna, ritiene che sessioni a porte chiuse dimostrerebbero «che la Commissione è davvero lì per servire gli interessi delle società immobiliari».

Una cortina fumogena?

Il secondo ostacolo potenziale si presenta sotto forma della Alleanza per le nuove edificazioni e gli affitti sostenibili, che Geisel e il nuovo sindaco Franziska Giffey hanno annunciato a gennaio. La cosiddetta «alleanza» è una tavola rotonda composta da rappresentanti del Senato, del settore immobiliare, distretti, associazioni edilizie e altro ancora. Dovrebbe occuparsi della protezione degli inquilini e del controllo degli affitti, insieme alla costruzione di edifici, alla ristrutturazione e alla sostenibilità, ma i suoi impegni non saranno legalmente vincolanti.

La prima riunione è stata accolta dalle proteste degli attivisti del Dwe, che si sono lamentati del fatto che l’Alleanza fosse una mossa per evadere la questione. Schmidberger condivide il loro scetticismo: «La motivazione politica dell’Spd è chiara. Pensano che, raggiungendo alcuni accordi verbali con le società immobiliari, si possa spazzare via il tema della socializzazione. Ma nessuna delle aziende coinvolte accetterà mai i cambiamenti fondamentali nelle loro pratiche commerciali necessari per risolvere veramente i problemi abitativi della città. Qualunque cosa su cui siano d’accordo non sarà sufficiente». È preoccupata che l’Alleanza possa anche essere «usata in modo improprio per incoraggiare un’ulteriore deregolamentazione» del mercato immobiliare. «Dobbiamo combattere contro questo tentativo di ristrutturazione», dice.

Il portavoce dell’Spd per lo sviluppo urbano, Mathias Schulz, respinge questa critica come «ingiusta», sostenendo che gli obiettivi dell’Alleanza e del referendum siano «non correlati. Il referendum riguardava il cambio di proprietà degli edifici esistenti in questo momento, ma l’Alleanza riguarda la costruzione degli appartamenti necessari per il futuro. Tutti sanno che dobbiamo costruire più appartamenti. Il referendum non ha detto nulla su che tipo di edifici dovrebbero essere costruiti, su chi li costruirà, o su quale sarà l’affitto». La coalizione ha annunciato un ambizioso piano edilizio, che punta a duecentomila nuovi appartamenti a Berlino entro il 2030. Secondo l’Spd, ciò richiede un rapporto di collaborazione tra pubblico e privato. «La risposta dell’Spd è sempre ‘costruisci, costruisci, costruisci’ – ribatte Schenker – ma i nuovi appartamenti sono spesso troppo costosi e fanno ben poco per risolvere la crisi abitativa. L’edilizia deve affiancarsi ad altri strumenti. Il controllo degli affitti richiede la regolamentazione del mercato e, poiché il tetto degli affitti è stato ribaltato, l’espropriazione è uno dei pochi strumenti efficaci rimasti a nostra disposizione».

Il sistema dell’edilizia popolare in Germania funziona principalmente attraverso lo stato che sovvenziona le società immobiliari per destinare una certa percentuale delle loro azioni come «sociali». Ciò solleva molteplici problemi. In primo luogo, questa percentuale spesso non è abbastanza alta: a Berlino è del 30%, sebbene il 50% dei residenti in città abbia un reddito basso che gli consentirebbe di avere diritto all’edilizia sociale. In secondo luogo, anche questo criterio non è soddisfatto nella pratica: dal 2014 solo il 10% degli appartamenti di nuova costruzione a Berlino è stato riservato all’edilizia sociale. Ma il problema più grande deriva da una sentenza della Corte costituzionale federale del 2019, che ha stabilito che non si può impedire alle società immobiliari di mettere sul mercato l’edilizia sociale dopo un certo periodo (di solito dai quindici ai trent’anni). «Quindi, portare la proprietà nella proprietà pubblica è l’unico modo per creare alloggi sociali con affitti convenienti per un periodo illimitato», spiega Hoffrogge.

Katalin Gennburg, portavoce dello sviluppo urbano di Die Linke, ha definito l’alleanza una «cortina fumogena… che continuerebbe a garantire aumenti degli affitti e spostamenti a Berlino». È improbabile che ciò inganni gli entusiasti sostenitori del referendum di settembre, ma potrebbe essere sufficiente per confondere gli elettori meno motivati e preservare la maggioranza dell’Spd anche se dovesse bloccare l’attuazione dell’articolo 15.

Mantenere la pressione politica

Se la commissione produce risultati contrastanti, come prevede Schmidberger, sarà più facile per l’Spd evitare di applicare l’articolo 15, sia attraverso l’Alleanza che con altri mezzi. Ma anche una chiara raccomandazione positiva non garantirà l’attuazione. In questo contesto, Dwe, Die Linke e i Verdi riconoscono tutti che mantenere la pressione politica sarà di vitale importanza. Ciò significa campagne rivolte al pubblico, oltre a costruire alleanze tra i partiti, in particolare con la significativa minoranza di membri dell’Spd che sono favorevoli all’esproprio. Significa anche, secondo Schenker, «non fare affidamento sugli avvocati della commissione, ma lavorare in modo indipendente sulla questione. Dobbiamo diventare esperti di società di edilizia sociale».

Se, nonostante questa pressione, l’Spd continua a bloccare l’attuazione, potrebbe richiedere misure più drastiche. Die Linke ha detto che potrebbe considerare di lasciare la coalizione. Schmidberger ritiene che, una volta che la commissione avrà chiaramente messo sul tavolo tutte le opzioni, «potrebbe anche essere necessario tenere un secondo referendum».

In questa fase, il futuro di Deutsche Wohnen & Co. Enteignen rimane poco chiaro. L’unica cosa che sembra certa è che il 26 settembre 2021 non è stata, come molti speravano, la fine della battaglia di Berlino per la socializzazione della casa. Piuttosto, era solo l’inizio.

*Leander Jones è un giornalista. Vive a Berlino e si occupa di politica e movimenti sociali. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione

 

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