Ci ha pensato martedì il ministro dell’energia del Qatar Saad al Kaabi a risvegliare Joe Biden dal sogno di sostituire da un giorno all’altro le forniture di gas russo per l’Europa. Né il Qatar, in possesso tra le riserve più ingenti del mondo, né un altro paese ha la capacità di sostituire le forniture russe all’Europa con il gas naturale liquefatto (Gnl) in caso di guerra aperta tra Mosca e Kiev, ha spiegato martedì il ministro dell’energia del Qatar aprendo il sesto vertice del forum dei paesi esportatori di gas (Gecf) in corso a Doha. Qualche settimana fa Biden si era affidato alla vaga disponibilità del Qatar a rifornire con maggiori quantità gli europei largamente dipendenti dal gas russo e, quindi, poco inclini alla linea del pugno di ferro nei confronti Mosca decisa dalla Casa Bianca. Per lo stesso motivo Washington aveva preso contatto con il Giappone e altri paesi. Il Forum di Doha ha riportato il presidente Usa con i piedi per terra.
«La Russia copre il 30-40% del fabbisogno dell’Europa. Non esiste un solo paese che possa sostituire quella quantità, non c’è la capacità di farlo con il Gnl», ha messo in chiaro Al Kaabi, aggiungendo che la maggior parte del gas naturale liquefatto «è legata a contratti a lungo termine e a destinazioni precise». E, ha concluso il ministro, con le esportazioni del Qatar bloccate in contratti quasi sempre per acquirenti asiatici, la quantità di gas deviabile verso l’Europa è solo del 10-15%. L’avvertimento non ha fermato le sanzioni europee contro la Russia e il governo tedesco martedì ha interrotto il progetto del gasdotto Nord Stream 2 del Mar Baltico per il raddoppio del flusso di gas russo diretto in Germania. Ieri a Bruxelles ostentavano tranquillità. A gennaio, hanno fatto sapere alcuni funzionati europei, c’è stato un record di forniture di gas naturale liquefatto con dieci miliardi di metri cubi giunti in via straordinaria. La realtà però non cambia, non c’è modo di coprire in tempi brevi una interruzione del flusso di gas russo. E comunque i carichi di Gnl arrivati in Europa non sono aggiuntivi, erano già programmati nell’ambito di un accordo tra una compagnia giapponese e una francese. «Non c’è nulla di concreto per le nuove forniture. Qatar e Giappone potranno garantire solo quantità limitate di carichi extra se l’Europa perderà l’accesso al gas russo», prevede Robert Songer un esperto di Gnl per il centro Icis sulle materie prime.
A ricordare agli europei che avranno bisogno ancora del gas russo per cucinare e riscaldarsi, è stato ieri proprio Vladimir Putin nel suo saluto ai partecipanti al Forum a Doha. «In questa fase, l’espansione dell’uso del gas naturale, come uno dei tipi di carburante più rispettosi dell’ambiente, sta diventando molto popolare», ha detto il presidente russo, aggiungendo «Siamo convinti che sia nell’interesse della comunità mondiale garantire che la transizione energetica non sia accompagnata da sanzioni o altre restrizioni». Nelle parole di Putin c’è un chiaro avvertimento: non varate sanzioni contro la Russia o ne pagherete le conseguenze. «Ambientalista» ieri si è mostrato a Doha anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi secondo il quale «Il gas naturale è un combustibile ecologico e sicuro con ricche risorse che delineeranno il mondo dell’energia», in particolare nella crescente elettrificazione prevista per prossimi decenni. Non sono un mistero i propositi di Tehran di inserirsi più in profondità nel mercato del gas naturale, se dai negoziati in corso a Vienna assieme al rilancio dell’accordo sul suo programma nucleare emergerà anche la revoca delle sanzioni Usa che colpiscono la sua economia.
Intanto Israele, che occupa da quasi 55 anni Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est e il Golan siriano, ieri ha abbandonato la neutralità mantenuta sino ad oggi e si è espresso contro le mosse russe e a favore «della integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina». Una presa di posizione che potrebbe incontrare una forte reazione di Mosca. La Russia, presente militarmente in Siria a sostegno del presidente Bashar Assad, negli ultimi anni ha lasciato all’aviazione israeliana la libertà di colpire obiettivi nel paese arabo. Un patto non scritto che ora rischia di crollare.