La confusione è molta sotto il cielo nuvoloso della Sicilia. Più della metà dell’isola si è astenuta. L’altra metà di fatto ha scelto tra Giancarlo Cancelleri e Nello Musumeci, che è nato qui a Militello, nel paese di Baudo. «La prima tessera della Fiamma me la diede il padrino di Pippo». Ma Baudo è democristianissimo. «Sì, però sua madre ebbe un parto difficile, dovette chiamare il dottor Gulinello, medico del paese e segretario missino, nonché zio di Salvatore Carrubba che ora fa l’intellettuale a Milano. Il dottore salvò il neonato e lo fecero patrozzo, padrino come direste voi in continente. L’ideologo della sezione, l’avvocato Nello Gargano che era stato a Salò, mi assegnò un libro di Alfredo Viani, Pagine religiose, e il compito di tornare dopo due settimane con un riassunto scritto. Si studiava, nei partiti».
Ma come mai lei Musumeci divenne missino? «Ero nell’Azione cattolica, però trovavo i democristiani troppo arrendevoli. Vidi in tv i carri sovietici a Praga ed ebbi un moto di ribellione. In casa la patria era importante. Papà nel 1936 era in Africa, poi combatté la Seconda guerra mondiale in Aeronautica, dopo lo sbarco in Sicilia obbedì all’ordine di consegnarsi agli inglesi con la morte nel cuore. Guidava i pullman; in fondo lo stesso mestiere del nonno, vetturino, e del bisnonno, cocchiere. Io sono orfano di madre; il Msi fu famiglia e scuola. I miei maestri furono Vito Cusimano, il capogruppo in Regione, che mi insegnò a leggere un bilancio e a scrivere una delibera; ed Enzo Trantino, che mi trasmise l’arte di parlare in pubblico». Trantino quello col pizzetto bianco? «Lui – risponde Musumeci lisciandosi il suo -. Venivi misurato anche da come sapevi tenere la piazza. I militanti ti davano cinque minuti. Se li conquistavi potevi andare avanti un’ora. Se cominciavi a tirar fuori un biglietto e a leggere, eri finito: “Chissà chi gliel’ha scritto…”. Si accendevano la sigaretta e se ne andavano».
Musumeci ora va in campagna, in contrada Nunziata, dove tiene i cani, tutti trovatelli: Lulù, pastore caucasico, e Bimba, un corso; «gli altri sette sono da mia sorella, a Giarre, il paese di Franco Battiato e di Alfio Russo, lo storico direttore del Corriere ». A Catania il presidente virtuale abita in via Deodato, al primo piano di un palazzo di edilizia popolare fascista; al pianterreno vive Mario Michele Giarrusso, grillino di sfondamento, che però alleva gatti. Qui in collina il primogenito, Salvo Musumeci, coltiva ulivi, aranci, fichi d’india e uva, nelle tre varietà nero d’Avola, nocera e vetrarola, specie quasi estinta recuperata alla banca genetica della vite. Il figlio più piccolo si chiama Giorgio come Almirante – «l’ho promesso al mio segretario prima che se ne andasse» -; e come il padre, lo zio e il nonno di Almirante fa l’attore. Il secondo si chiamava Giuseppe: «Mi è morto all’improvviso. Si preparava a uscire di casa. Infarto fulminante. Una cosa tremenda. Questo mi aiuta però a relativizzare tutto. Se vinco vado a Palermo a lavorare per la mia isola. Se perdo torno qui in campagna a coltivare la mia vigna».
È anche un voto nazionale, come sempre in Sicilia. Musumeci ne parla mentre va ora a salutare gli amici a Castel di Iudica, borgo a 500 metri sul mare, dov’è stato vicesindaco. «Alle regionali del 1971 a Catania il Msi divenne il primo partito, superando la Dc. Gli antisistema eravamo noi. Ma ci preparavamo per il governo: a Militello eravamo in giunta con i liberali e la lista Stella e Corona. A Catania eleggevamo due senatori, più uno ad Acireale; la Dc nessuno. Motto: libertà nell’ordine. Ero molto amico di Antonino La Russa, l’ho commemorato io sul Secolo d’Italia ; meno amico di suo figlio Ignazio». Poi venne la Seconda Repubblica. «Alle Europee del 1999 e del 2004 presi più preferenze di Fini. Mi disse solo: “Non ho gradito”. Dovetti andarmene con Storace. Hanno scritto che con Berlusconi ci siamo presentati l’altro giorno. Ma quando mai? Nel 2005 venne a un mio comizio per Scapagnini sindaco di Catania e chiese: “Dove l’avete tenuto nascosto questo qui?”. Da allora siamo amici. Mi ha voluto sottosegretario al Lavoro nel suo ultimo governo, anche se la Destra non aveva neanche un parlamentare». Però Berlusconi per la Regione voleva Armao. «Invece sono qua. Ad aspettare che passi la nottata. Tra poche ore sapremo se i siciliani vogliono il riscatto o il caos».
In realtà, il programma di Musumeci e quello di Cancelleri sono abbastanza simili. Le cose da fare, del resto, sono quelle. La Regione è la più grande azienda della Sicilia, ma ha prodotto assistenza, non sviluppo. Entrambi i duellanti di questa notte vogliono rinegoziare gli accordi con il governo sui prodotti petroliferi, e tagliare stipendi, vitalizi, finanziamenti ai gruppi nell’Assemblea regionale. Cancelleri ha passato la sua prima vita a contare serbatoi alla ditta Lo Cascio di Caltanissetta, prima come magazziniere poi come tecnico; e da consigliere regionale si è tagliato lo stipendio di oltre 3 mila euro, infatti guadagna la metà dei colleghi. La sua prima manifestazione fu a fianco di un missino, Michele Giarratano: bruciarono in piazza la bolletta dei rifiuti. Ha sposato una ragazza che lavorava nei call center (ma sua sorella Azzurra Cancelleri oggi è deputata a Roma). Era un ragazzo di sinistra: servizio civile all’Arci, in camera il poster di Che Guevara. Dieci anni fa organizzò il Vaffa-Day a Caltanissetta, poi capeggiò la lista Grilli Nisseni: 62 voti. La sua fortuna fu un’intervista in diretta ad Annozero , la trasmissione di Santoro: Grillo e Casaleggio lo notarono, e ne fecero il candidato per prendere la Sicilia; 18% nel 2012; stavolta il doppio, forse più.
«Grillo, Di Maio, Di Battista battono l’isola da quattro mesi, se perdono è un bello smacco» dice Renzi. «Se vinciamo è un bel segno per la nuova coalizione di centrodestra e se mi consente pure per me, che ho convinto Berlusconi e Salvini a puntare su Nello» dice la Meloni. Ma se vince Cancelleri, è l’inizio di un sottosopra che può passare lo Stretto. «Siamo entrambi appesi a un filo» sussurra Musumeci. Con loro la Sicilia intera, e un poco anche l’Italia.
Corriere della Sera – Aldo Cazzullo – 06/11/2017 pg. 1 ed. Nazionale.