di Giovanni Bianconi
«Ritornando a Ostia… stabilimenti balneari… — cioè la concessione per la gestione di uno stabilimento — ne devo parlare con Massimo, pe’ sta’ assicurato contro la malavita». Così parlava Salvatore Buzzi il 6 ottobre 2014, due mesi prima dell’arresto. Gli inquirenti non hanno dubbi: Massimo è Massimo Carminati. E allora saranno chiacchiere in libertà, millanterie o espressioni boriose, ma proprio le parole di Buzzi alimentano il «prestigio criminale» del suo amico e socio venuto dagli anni di piombo, l’ex estremista neofascista diventato «l’uomo nero» dell’indagine. Quello che ha trasformato, col suo carisma delinquenziale, il «mondo di mezzo» e le sue storie di quasi ordinaria corruzione in Mafia Capitale.
Il furto al caveau
In attesa di conoscere i motivi per cui la Cassazione ha confermato l’accusa di associazione mafiosa, questa si fonda essenzialmente sui metodi intimidatori, condizionanti e omertosi che traspaiono dai discorsi di Carminati e dei suoi presunti complici. Arrestato la prima volta nel 1981, quasi ucciso dalla polizia che gli sparò mentre cercava di scappare disarmato, è stato lui stesso a raccontare alle microspie dei carabinieri del Ros la propria mutazione: «Io facevo politica, poi la politica è diventata criminalità politica». Finché è rimasta solo la criminalità. Ed è ancora Buzzi, il quale sostiene di conoscerlo da trent’anni ma di frequentarlo solo dal 2012, a svelare (in assenza dell’interessato) il retroscena che lo avrebbe reso intoccabile: «Lui fa ‘na rapina… le cassette di sicurezza della (il furto nel caveau del tribunale di Roma, nel 1999, ndr ) … trovano de tutto e de più … e qualcuno è ricattabile… Come spieghi che non è mai stato condannato per il resto, lo condannano solo per quel reato… Tutto il resto sempre assolto».
Scontata quell’unica pena, Carminati torna libero e la politica si riaffaccia fra i suoi interessi. Ma non nel senso della militanza. A leggere le trascrizioni delle conversazioni, sembra seguire le evoluzioni soprattutto di quella locale, in funzione degli affari propri e del gruppo a cui s’è legato per guadagnare e investire: le cooperative di Buzzi, che non perde occasione di tirare in mezzo «il mio amico Samurai» quando c’è da incutere qualche timore reverenziale. Secondo gli inquirenti Carminati dà il placet al sostegno per la nomina di Daniele Ozzimo, ora finito in carcere, ad assessore nella prima giunta Marino («Non sarebbe male… è una persona in gamba… visti i nomi che sono girati fino adesso»), sebbene manifesti un certo disprezzo verso i politici di professione. Invece gli piace il giovane Tredicine (finito agli arresti domiciliari) perché «viene dalla strada… è poco chiacchierato, nonostante faccia un milione di impicci… lui chiacchiere poche… vuol dire che è serio».
«Se serve… arrivo»
Carminati è quello che dice «noi gli accordi li rispettiamo», mentre Buzzi si sfoga sui politici locali che «devono sta’ ai nostri ordini… perché te pago»; e quando, a proposito di appalti che coinvolgevano anche un terzo ipotetico complice, Buzzi gli comunica che «abbiamo vinto sia la gara nostra che le gare sue, quindi pure lui sta tranquillo», lo esalta: «Non avevo dubbi, amico mio». È lui a preoccuparsi delle bonifiche da eventuali microspie dopo uno strano furto in un ufficio frequentato da Luca Gramazio (arrestato con l’accusa di associazione mafiosa), e se il consigliere regionale teme per le minacce di un collega di partito, si mostra pronto a intervenire: «In qualunque momento… io vengo». Ma di fronte a un’altra richiesta di spaventare qualcuno che evidentemente non sta al gioco, Carminati decide di soprassedere: «Ma no, ma no… non se impicciamo… tanto lì… c’è chi ci penserà…». Come un «padrino», secondo l’accusa; come uno che parla secondo la propria storia e i propri canoni che non c’entrano niente con la mafia, secondo la difesa.
A novembre 2013 Gramazio e altri uomini di fiducia del gruppo tengono una riunione riservata con l’ex candidato sindaco Alfio Marchini, e i pubblici ministeri considerano Carminati il «tessitore occulto della trama dei fili che conduce all’incontro». Coi politici si muove nell’ombra, con criminali e trafficanti un po’ più allo scoperto. E così — a sentire le nuove dichiarazioni del «pentito» Massimo Grilli, che sostiene di non averne parlato in precedenza per paura — si propone come mediatore per un affare di droga con il clan mafioso dei Fasciani di Ostia. Ma solo come punto di contatto, senza volere nulla in cambio: «Io di queste cose non mi impiccio, non mi interessa quello che fai… Se ti vuoi comporta’ da ragazzo regolare… per due-tre mesi non ti fai vedere in zona, perché quando hai fatto io non ti voglio più vede’ che passi qui».