di Pierluigi Piccini
È ormai da tempo che sostengo che il Palio sia uno strumento utile per capire la società in cui viviamo: il Palio come metafora della vita, la trasposizione sul piano simbolico del reale, di ciò che accade nella vita quotidiana. E cosa c’è di simbolico nell’ultima Carriera del due di luglio? Il simbolo, questa volta, è stato rappresentato da un cavallo, dalla natura, e dal rifiuto di partecipare ad una festa organizzata dagli uomini per gli uomini. La natura dell’animale si è ribellata. Diversamente da ciò che successe durante il Palio del 1991. All’epoca fu la volontà degli uomini che fece rimandare la celebrazione del Palio al giorno successivo. Un animale, quello toccato in sorte alla Tartuca, che ha dettato i tempi, che non si è curato delle trasmissioni televisive, degli ospiti o delle preoccupazioni sulla sicurezza. Istinto, cosa che gli uomini spesso perdono di vista quando gestiscono la loro vita. Istinto assecondato, fino in fondo, dal fantino del momento che non lo ha mai forzato, che non lo ha domato violentandolo. Mi sarebbe tanto piaciuto che in questo clima animalista qualche responsabile della Festa lo avesse rivendicato, come messaggio, come critica fatta ai critici. Ma, purtroppo, sono rimasto deluso, nulla di tutto ciò è accaduto. La sensazione che si percepisce parlando con alcuni senese è quella di una certa simpatia e di rispetto nei confronti dell’animale: la natura non si comanda, eventualmente la si asseconda: il cavallo è pur sempre un animale con la sua autonomia. Chissà se tali giudizi sono dettati solo dalla lunga frequentazione con gli equini e dai tanti fatti che li hanno riguardati e che sono regolarmente accaduti nel corso degli anni, o non ci sia, anche, in fondo, un po’ di cultura contadina rimasta, fortunatamente, nel modo di essere e di pensare dei senesi? Le critiche sono andate, viceversa, agli uomini a qualche gestore, incapace di affrontare l’imprevisto con razionalità e buon senso. Già razionalità tanto nemica dell’istinto del non previsto, del casuale, di tutto quello che simbolicamente ha rappresentato il cavallo in Piazza del Campo il 2 di luglio. Ma si sa’ che l’uomo è timoroso e in preda alla costante preoccupazione di tenere un comportamento “corretto” che possa essere accettato dai consimili. Ma accettato da chi? Ad esempio dai mezzi di comunicazione, molti vivono per essi, dagli ospiti e da cosa avrebbero potuto pensare, dalla sicurezza che tanto condiziona e che tanto è usata per condizionare i comportamenti delle persone. Tutto ciò e altro ancora, non rende, ovviamente, autonomi i responsabili nei loro comportamenti condizionando l’immagine di indipendenza della stessa collettività. Eppure una alleanza con il “ribelle” equino poteva e doveva essere tentata, il cavallo aveva solo bisogno di essere tranquillizzato come dire: di far passare la nottata. E tutto sarebbe stato ricomposto evitando di far correre una Carriera alla come viene, viene. Se poi il “ribelle” dopo averci dormito su, proprio non se la fosse sentita di entrare fra i canapi, allora il suo capitano in accordo con l’autorità comunale, con gesto apprezzabilissimo da tutti e come è già accaduto nel passato, avrebbe dovuto far riaccompagnare il cavallo nella stalla della sua contrada. Con questi comportamenti, probabilmente, la natura e la ragione avrebbero potuto trovare la giusta sintesi.