IL PALIO, LA BARDOT E I CAVALLI.

Questo che presentiamo in anteprima è uno dei capitoli che abbiamo aggiunto con Orsucci alla nuova edizione di: Siena, un racconto degli ultimi venti anni, di prossima pubblicazione

Siena e il suo Palio. Quello che vediamo oggi è, in parte, anche il Palio “riformato” da Piccini.

“Andiamo con calma. Come ho accennato in precedenza, quando presi le redini della città nel 1990 la situazione paliesca non era delle migliori. Se con il termine ‘riformato’ intende l’aver creato le condizioni perché questa importante festa si svolgesse secondo i canoni sui cui si è sempre fondata, allora sì, l’ho riformata, ma senza alterare le logiche e le regole non scritte che la governano. Ho solo creato le condizioni migliori che mettessero in sicurezza chi la correva, cioè i cavalli e i fantini, rendendo meno duro l’impatto della città con le migliaia di turisti che ogni anno venivano, e vengono, in occasione del Palio e con l’opinione pubblica internazionale”.

Leggi non scritte e logiche interne alle contrade: il Palio non è solamente cavalli quindi…

“Non scherziamo! Nel Palio ci sono i fantini, i cavalli, certamente, ma il Palio di per sé è la cartina al tornasole della società civile, l’unica e più attendibile”.

Prego?

“Non è semplice da spiegare, ma ne sono sempre stato fermamente convinto, conscio proprio della valenza che la festa del Palio porta con sé. Per dirla nel modo più comprensibile: se la società senese ha aspetti patologici, l’occasione in cui essi emergono prepotentemente è proprio il Palio. Del resto, esso è una festa di natura fortemente antropologica: è un momento di identità con una grande funzione sociale in quanto riesce a scaricare tutte quelle tensioni che durante la festa e non solo in essa, si accumulano. E per tensioni intendo anche le propensioni alla violenza. La società senese, come ogni società, è violenta per natura. La funzione della festa in questione è proprio quella di fungere da valvola di sfogo per queste tensioni che possono essere soggettive e/o collettive. Un Palio ‘sano’ riesce a far scaricare la società senese da questo accumulo di ansie in modo corretto. Viceversa, lo svuotamento non avviene quando le micro trasformazioni a cui il Palio è sottoposto, per forza di cose, escono dalle norme tradizionali di comportamento, quelle non scritte. Da queste letture si capisce la condizione nella quale si trova la comunità senese, quindi il Palio è ben lontano da essere una semplice corsa di cavalli. Pensi solo alla dimensione straordinaria, eccessiva, che ha preso il denaro e il successo personale, l’apparire, nella gestione della Festa (il contemporaneo). Per analogia potremo citare anche un’altra esperienza che ci permettere di leggere le trasformazioni della società: lo sport, meglio il calcio. Un esempio? I morti dell’Heysel, una delle peggiori pagine del tifo calcistico per una squadra italiana, e che fu una vera e propria mattanza per il pubblico juventino in trasferta. In quel caso venne meno lo sport, i comportamenti condivisi che avrebbero permesso di uscire da un momento altamente drammatico.

Può fare un esempio?

“Ce ne sarebbero molti, ma faccio riferimento ad un fatto che ricordo bene relativo ad uno dei miei primi palii. Come norma comportamentale non scritta c’è quella per la quale un contradaiolo avversario che cade a terra non viene mai aggredito. Ci fu invece un episodio nel quale un contradaiolo cadde e fu preso a calci. Siamo in presenza di una trasformazione di quelle norme non scritte a cui tutti si attenevano e che denunciano un disagio personale e collettivo: nessuno si sentì di deplorare l’episodio, probabilmente in altri tempi, sarebbe stata la stessa contrada di appartenenza dello scalciante a stigmatizzare l’accaduto. Questo vuole dire che qualcosa non funzionava più. La violenza usciva dal rito. Beninteso: fino a qualche anno fa pure la scazzottata era prevista dentro le leggi non scritte del Palio, aveva una sua ritualità. Non vorrei essere equivocato, ma oggi, le scazzottate ‘rituali’ non avvengono più, e questo introiettamento della violenza non è certo positivo. Sembra paradossale, ma il gesto era comunque il riconoscimento dell’altro, una forma di comunicazione, oggi siamo sempre più parte, atomi indifferenti”.

Parla del Palio al passato. Quello che si vede oggi cosa è?

“Il Palio sta diventando sempre più formale, ha perso, in buona parte, quella corrente calda che era rappresentata dalla dimensione popolare. I linguaggi hanno preso sempre più il gusto stucchevole della ripetizione ideologica. La senesità, il popolo, sono state fatte proprie dalla politica, dalle istituzioni si sono istituzionalizzati e vengono citati senza crederci veramente, un salvagente buono a tutti gli usi! Vuol dire, anche, che società senese si è adagiata è stata normalizzata le sono state rubate le parole. Perdita di parole, di narrazione fra le generazioni. Il diverso è spesso una macchietta o il personaggio di qualche furbetto che si traveste per la trasgressione di una sera, per la gioia dei compagni del tavolo. Oggi il Palio è una semplice corsa di cavalli, governata dal denaro e dal campione di turno. Qualche timida inversione di tendenza sembra iniziare ad esserci (dovuta anche alla crisi economica della Città), ma dovremmo aspettare qualche anno per capire che tipo di trasformazioni introdurrà, se le introdurrà. Ma tutto ciò determina una diversità nel Palio, così come diversa è la società, normale si potrebbe dire: il cambiamento è sempre in movimento! Ma le società non cambiano sempre in meglio e il Palio ha rappresentato per molto tempo un rallentatore, un filtro che ha funzionato e ha reso particolare Siena, la resa desiderabile. Un valore di scambio che andava oltre il valore d’uso. Valore di scambio (il Palio) pieno di significati simbolici che può permettere la mediazione fra i contradaioli e l’invisibile. Insomma il collegamento fra il materiale e l’invisibile simbolico della tradizione. Nel mio stemma da sindaco è rappresentato: il sole a mezzogiorno, un’aquila e un serpente. Il tempo si ferma nell’eternità e lo spirito, l’aquila, trascina la materia, il serpente, verso l’alto. Dicono che sono stato l’ultimo sindaco ad aver conosciuto il ‘vero’ Palio. Molti contradaioli di tradizione che di recente mi hanno fermato per strada, nei miei brevi soggiorni a Siena, mi dicono proprio che in questo Palio non ci si riconoscono più. Ad esempio, i partiti, intesi come accordi tra contrade più o meno amiche, non sono che un ricordo lontano. Del resto il Palio cos’è? La sorte affida un cavallo alla contrada, e la bravura dell’essere umano subentra quando con l’astuzia deve sconfiggere la sorte, ottenendo appunto il Palio in premio. E per vincere tutto è lecito: comprare, vendere, fare o disfare accordi, coalizzarsi con o contro qualcuno. È la meravigliosa dimensione antropologica che affonda le sue radici nelle feste greche, nell’uomo medioevale simbolico, si, ma che anticipa l’umanesimo in una dimensione religiosa che non è mai preponderante. Corruzione, vendita, acquisto: tutto è (era) lecito durante il Palio pur di sconfiggere la Sorte. In piazza l’uomo mette i denari, che spende con astuzia per uscirne vincitore. Anche questo aspetto consegna il Palio ad una dimensione del tutto particolare. Di solito infatti chi vince ha un premio. Qui no, per vincere bisogna spendere. Sì, certamente, c’è il palio come premio, ma per arrivarci le contrade devono sborsare denaro”.

Ha detto che è saltato il rapporto tra generazioni. Che intende?

“Intendo dire che oggi il Palio di Siena ha perso la sua dimensione di narrazione, sta perdendo il linguaggio, alcuni modi di dire restano, così come si cristallizzano in tutte le società. Il bello di questo gioco non era nel visto, bensì nel non visto. Si creavano leggende, storie verosimili, che venivano raccontate, e nel racconto dei grandi ai più giovani si passava l’identità, il patrimonio culturale, in attesa del palio dell’anno seguente. Oggi molto di questo è mediato da soggetti terzi, da centri di comunicazione e formazione che non sono più solo la famiglia contradaiola. Centri a cui è molto difficile contrapporsi, il tempo fra interno senese ed esterno mondo è profondamente diverso. Ad esempio tutto è visibile, tutto è soggetto a inchieste, a interviste, tutto è filmato, tutto è fotografato, ma il mistero? Tutto è trasparente, nel tutto evidente si perde la dimensione simbolica. Dirigenti di contrada democraticamente irresponsabili, riunioni di contrada fatte a colpi di maggioranza (sempre più risicate), eppoi ancora i media che hanno reso tutto piatto e tremendamente banale. Di fronte a queste trasformazioni mancano ancora delle risposte rituali e comportamentali, risposte che potranno venire, forse, nel momento in cui la società senese abbia recuperato un suo equilibrio fuori dalla pesante crisi che l’attanaglia”.

Ce l’ha con la televisione che mette in scena il Palio, ma la Rai ha sempre trasmesso il gioco in diretta…

“Non ce l’ho, né ce l’avevo, con la televisione, né tanto meno con la Rai. Dico solo che la diretta del Palio snatura molto la sua classicità. Poi, da sindaco, ricordo che ebbi uno scontro con lo storico inviato Rai a Siena in occasione del Palio, Paolo Frajese, dal quale mi presi anche del fascista a seguito di una decisione che lo riguardava presa dalla stessa RAI. Siccome ritenevo che le immagini del Palio appartenevano ai senesi, era giusto che le immagini del Palio fossero date dai senesi attraverso una loro organizzazione. Il ragionamento politico era banale se vogliamo: in quel modo si evitava che andassero in diretta le immagini più crude della Festa. Immagini, quelle, che estremizzavano l’aspetto violento della corsa mettendone in ombra le altre componenti, immagini che avrebbero potuto alimentare il malcontento in un certo associazionismo esterno alla città. Frajese non la prese affatto bene e il sottoscritto si beccò del fascista per ‘evidente censura’. Lo stesso Frajese che mi accusò di aver lavorato nell’ombra per far sì che i vertici aziendali della Rai gli togliessero il servizio annuale sul Palio. In realtà, anni dopo ebbi una riunione a viale Mazzini a Roma proprio su questo tema e capii che la stessa dirigenza Rai aveva deciso di rimuovere il cronista dall’incarico senese”.

Si, però quando lei diventa sindaco, oltre la classicità del Palio, c’erano problemi concreti: i cavalli morivano e Siena finì sotto i riflettori nazionali ed internazionali a causa degli attacchi degli animalisti…

“Quelli furono anni difficili infatti. Il mio primo Palio, luglio 1991, fu drammatico. Lì accadde veramente di tutto. Fino al giorno stabilito me l’ero cavata, tra alti e bassi. Del resto era il mio primo Palio da sindaco e dovevo ancora confrontarmi con quella realtà. Il giorno del Palio successe una cosa straordinaria e decisamente unica: il Palio non si corse. Ricordo che la contrada del Nicchio era di rincorsa, il Montone, contrada rivale, era tra i canapi. Ma il Nicchio non dava la mossa – ed allora non c’erano ancora le indicazioni per sollecitarla – mentre il rivale Montone e gli altri cavalli aspettavano fermi, immobili come statue, fra i canapi. Tant’è che il mossiere non lo abbassò mai. In teoria si poteva cambiare l’ordine, ma per far ciò il canape doveva essere abbassato. Quindi rimanemmo fino a sera in quella situazione di stallo. Venne issata la bandiera verde e il gioco fu rimandato al giorno seguente. Il Prefetto, Vittorio Stelo, mi chiamò per una riunione coi capitani di contrada; io nel frattempo ero sul palco e ricordo che un contradaiolo doc, l’avvocato Paolo Falaschi, passò là sotto e non ebbe parole carine nei miei riguardi. Scesi dal palco e altre due persone mi sputarono ai piedi in segno di disprezzo… Peggio che in quel modo non potevo pensare che andasse. Finita la riunione, quasi alle 21, avevo ricevuto un invito a parlare su un’emittente locale. Non so bene come mi uscì, ma ricordo di aver detto che quelli erano i tempi del Palio e della città, e pertanto se i senesi avevano gestito la loro festa in quel modo io da sindaco non potevo che far rispettare le decisioni della mia comunità. Le mie parole non piacquero affatto ai notabili cittadini che si erano spesi in inviti e ospitate, ma mi ingraziarono la cittadinanza, che vide in quel mio gesto un atto di rispetto e difesa della senesità e del Palio stesso. Il giorno seguente poi il Palio fu corso normalmente nel pomeriggio, senza cambiare la busta con l’ordine, e tutto filò liscio. Ma come battesimo non fu certamente dei migliori.

Ma quel 1991 fu drammatico anche per gli attacchi incrociati che ricevette la città ed io stesso in prima persona da Franco Zeffirelli e dalle associazioni animaliste capitanate da Brigitte Bardot, notoriamente molto sensibile a queste tematiche…”.

Nei confronti di Zeffirelli il Comune di Siena ha promosso peraltro una causa civile …

“Decidemmo di fare quel passo perché il suo comportamento fu ritenuto inaccettabile e le parole spese negli attacchi all’amministrazione e alla città erano insopportabili e non giustificati. Tutto nacque dal fatto che la Regione Toscana aveva commissionato a Zeffirelli un video per promuovere turisticamente la Toscana, e lui avrebbe voluto realizzarlo effettuando le riprese dall’alto del Palio, e più precisamente dalla Torre del Mangia. Ciò andava palesemente contro le norme scritte e io in quel caso applicai solamente il regolamento, negando la possibilità delle riprese da quel punto. Zeffirelli non l’aveva presa bene. Negli anni, poi, il sindaco Cenni fece il bel gesto di ritirare la querela, cosa che personalmente non avrei mai fatto. Immagino che dietro ci siano state altre motivazioni… Quello che non capì il regista è che l’amministrazione non ce l’aveva con lui, bensì che stavamo soltanto facendo rispettare delle regole. Stesso dicesi del resto per non aver mai concesso ad alcune aziende di fare riprese pubblicitarie in Piazza del Campo. L’avevano chiesto la Ferrari, Moet&Chandon, Barilla, la Fiat e anche il compianto Giovannino Agnelli venne a parlarmi per cercare di convincermi… Gli risposi molto cortesemente che non potevo creare un precedente in materia. Del resto, avevo fatto caso che più dicevo di no e più la città era desiderata, richiesta; concederla a tutti l’avrebbe svilita e resa una delle tante. Poi alla Fiat concessi le riprese in Piazza del Mercato, ma non acconsentii certo per Piazza del Campo…”.

E gli animalisti?

“Diciamo che l’assedio al Palio fino almeno al 1997 è stato fatto su temi animalisti. Lo stesso Zeffirelli del resto nel 1991 ebbe l’idea di fare una conferenza stampa a Roma nella sala della stampa europea per dire che a Siena i cavalli andavano praticamente incontro a morte atroce… Fu proprio per questo che decidemmo di querelare civilmente. Però intanto l’eco c’era stata. La stampa tedesca e del Nord Europa, sensibile in materia, uscì con dei servizi. In Comune a Siena iniziarono ad arrivare pacchi di lettere di bambini tedeschi, delle scuole elementari, che chiedevano come fosse possibile far soffrire così dei poveri animali. Rapidamente si aggiunsero altre sigle di animalisti che ogni anno per il Palio mi querelavano se c’era qualcosa che non andava… Ricordo che per sfinimento in un’intervista definii gli animalisti degli avvoltoi, sempre pronti a farsi pubblicità con la morte dei cavalli. Questi mi controquerelarono per diffamazione. Dovetti difendermi a Roma, assistito dall’avvocato Pisillo, con quale avemmo un colpo di genio. Al processo feci notare che in quanto animalisti non avrebbero dovuto sentirsi offesi e diffamati se paragonati agli avvoltoi, che fino a prova contraria sono animali… Il giudice si mise a ridere e archiviò il fascicolo… Brigitte Bardot, da parte sua, mobilitò un cordone sanitario sui principali media nazionali che mettevano sotto la lente d’ingrandimento ciò che accadeva a Siena durante il Palio”.

E nel 1997 che accadde?

“Costituimmo una commissioni di altissimo profilo con intellettuali del calibro di Mario Luzi, Rita Levi Montalcini ed altri che diventassero sponsor credibili non tanto della città quanto della festa. E almeno in quel modo riuscimmo ad arginare l’ondata violenta di attacchi a mezzo stampa…”.

In città i contradaioli dicono che lei è l’ultimo sindaco ad aver riformato il Palio. Che intendono?

“Come dicevo all’inizio, non ho cambiato nulla nello svolgimento, ho solo fatto sì che, con provvedimenti comunali, il Palio si potesse giocare in sicurezza. Lasciando, penso e spero, la classicità della festa inalterata. Resi obbligatoria per esempio la previsita per i cavalli, che venivano quindi sottoposti al giudizio reventivo di una commissione veterinaria, la regolamentazione delle prove notturne, feci installare dei materassi in Piazza del Campo per evitare che il cavalli potessero ferirsi: un’idea mutuata dalla formula uno con materassi specifici ad alto assorbimento d’urto, i mezzosangue. E poi, a fine anni Novanta, grazie al contributo fondamentale di Divo Gronchi e della Banca, avemmo le risorse per i nuovi costumi, e molti atri provvedimenti che non sto qui a citare”.

Gronchi fece passare la richiesta all’unanimità all’interno del cda di Mps…

“E’ verissimo. Era passato qualche anno e nel frattempo avevamo commissionato uno studio accurato sulla storia dei costumi delle contrade, sui simboli e tutto ciò che riguardava il Palio. Chiesi a Gronchi un contributo. Il Comune e le Contrade da sole non avrebbero potuto sostenere l’investimento. Il dg di Mps capì subito l’importanza della mia richiesta, soprattutto per l’interesse della città. E nel perorare la causa davanti ai consiglieri di amministrazione e al presidente Spaventa riuscì a far passare proprio questo tipo di messaggio: non era un capriccio dell’amministrazione comunale, bensì un modo in cui la Banca si dimostrava accanto alla festa dei senesi. Il cda infatti approvò all’unanimità l’erogazione della cifra, votarono a favore anche i consiglieri di opposizione. Riuscimmo in quel modo a vestire di nuovo il Palio, ed è stato il mio ultimo ‘regalo’, da sindaco, alla città, ai senesi e alla loro festa più importante”.