Il muro della doppia sovranità

di Michele Ainis
No, non è in gioco la libertà di culto o quella di pensiero.
La nota diplomatica della Santa Sede contro la legge Zan chiama in causa la stessa laicità del nostro Stato, e quest’ultima evoca a sua volta una questione di diritto internazionale, non soltanto di diritto interno. Perché concerne i rapporti fra Stati sovrani, come ha osservato il presidente Draghi.
E perché muove dalla speciale posizione del cattolicesimo, l’unica confessione religiosa al mondo eretta a Stato. Ne deriva una somma di poteri, compreso il diritto di voto nelle conferenze Onu, i privilegi doganali, l’esistenza d’una banca di Stato (lo Ior), l’apertura di relazioni diplomatiche con 183 Paesi. Ma ne derivano altresì vincoli e divieti, che in questa vicenda sono stati disattesi, violati, calpestati.
A una garanzia in più (e quale garanzia!) fa da contrappeso un limite in più. E sia la garanzia che il limite discendono dall’articolo 7 della Costituzione, il manifesto laico dello Stato italiano.
 Allora partiamo da qui, dalla statualità della Chiesa cattolica. Tanto preziosa che a suo tempo Pio IX, in una lettera a Vittorio Emanuele II, paragonò la sovranità sui territori vaticani a quella «porzione della veste di Gesù Cristo che rimase intatta sopra il Calvario», insomma al perizoma che ne copriva le nudità sulla croce. La sovranità venne infine ottenuta dalla Chiesa in virtù dei Patti lateranensi, firmati nel 1929 da Benito Mussolini e dal cardinal Gasparri. E a quel punto un altro papa, Pio XI, definì Mussolini «l’uomo della Provvidenza». Disse così, ma avrebbe dovuto usare il plurale, non il singolare. Perché le provvidenze dello Stato italiano verso il Vaticano da allora in poi formano un fiume, un flusso di quattrini.
Già la Convenzione finanziaria, allegata ai Patti lateranensi, si misurava in soldoni: 1 miliardo e 750 milioni di lire. Tenendo conto che l’intero bilancio pubblico viaggiava a quel tempo sui 20 miliardi di lire, significa che per chiudere la “questione romana” abbiamo sborsato quasi un decimo del nostro patrimonio. Ma nei decenni successivi la spesa è lievitata come un panettone. È il caso dei 5 miliardi di euro mai corrisposti dal Vaticano per l’Ici, l’imposta comunale sugli immobili; eppure nel 2018 una pronunzia della Corte di giustizia europea ne aveva decretato l’obbligo, giacché l’esenzione dell’Ici è incompatibile con le norme sugli aiuti di Stato. È il caso inoltre del finanziamento delle scuole cattoliche: un rubinetto aperto dal governo D’Alema nel 2000, benché l’articolo 34 della Costituzione disponga che le scuole private agiscono «senza oneri per lo Stato».
Ma è l’articolo 7 la norma costituzionale più pregnante.
Perché da un lato conferma la validità dei Patti lateranensi, unica sopravvivenza del fascismo nella nostra Carta antifascista; e infatti in Assemblea costituente ricevette il voto dei monarchici, mentre socialisti e comunisti si schierarono in due fronti contrapposti. Però dall’altro lato esordisce con una dichiarazione secca, perentoria: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Disse Calamandrei: «Che lo scriviamo a fare? Sarebbe come dire che l’Italia e la Francia sono reciprocamente indipendenti». Ma quell’articolo non reca una norma assurda, né superflua. Significa che Stato e Chiesa non hanno alcuna competenza a pronunciarsi sui rispettivi ordinamenti, poiché l’indipendenza è questo, è un obbligo di non interferenza nelle faccende altrui. Ed evoca perciò il fondamento stesso della laicità, che si traduce in ultimo nel «muro» fra Stato e chiese di cui parlava Thomas Jefferson, nel rifiuto verso ogni contaminazione di valori religiosi in tutto ciò che è pubblico, di tutti.
E del resto, come reagirebbe a parti invertite il Vaticano? Giacché dopotutto qualche critica potremmo esprimerla anche noi, rispetto al loro modello di governo. Che non tutela la certezza del diritto, sepolta da un sistema di dispense e privilegi. Nega la libertà di culto, in nome della religione di Stato. Disconosce la regola della maggiore età (le leggi ecclesiastiche obbligano tutti i battezzati che abbiano compiuto 7 anni). Dove nessuna donna può diventare parroco, né papa. E che non riconosce infine la separazione dei poteri, dato che il pontefice è al vertice del potere legislativo, esecutivo, giudiziario: «il più schifoso despotismo», così lo definì Cavour.
Noi, ovviamente, non ci permettiamo obiezioni. Ma non dovrebbero permettersi neanche loro, a obiettare sulle nostre scelte. Altrimenti la risposta non può che suonare analoga a quella di Zapatero, nel 2005, dopo la scomunica dei matrimoni gay approvati dal Parlamento spagnolo: una protesta diplomatica. Come ha detto Draghi ieri, lo Stato italiano è laico, non confessionale.
Ed è uno Stato, non una parrocchia.
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