Il miliardario riluttante

il caffè

 

di Massimo Gramellini

 

Aun mese dal colpaccio, lo sbancatore del Superenalotto che a Lodi ha vinto 209 milioni con una schedina da due euro non ha ancora dato segnali di vita. La sua latitanza autorizza qualsiasi ipotesi. La più probabile è che trascorra le notti a contare soldi invece che pecore, e i giorni a capire quale sia il modo migliore, una volta presi, per nasconderli. Ma è anche la più prosaica. La più macabra è che abbia avuto un infarto. La più nevrotica, che la vita lo assilli con tali incombenze (riunioni di lavoro, ingorghi in tangenziale, figli da portare a judo) da non avergli ancora lasciato il tempo di passare all’incasso. La più autobiografica è che abbia messo la schedina nella giacca mandata in tintoria. La più politica, che l’abbia smarrita al Papeete di Milano Marittima: lì basta un attimo e puoi perdere tutto, è già successo. La più romantica, che il tagliando del destino sia finito nelle mani del mio amato Toninelli (se lo meriterebbe), ma che in un eccesso di concentrazione lui lo abbia obliterato sul tram. La più europeista, che Conte l’abbia già consegnato a Ursula come anticipo sulla manovra d’autunno. La più sovranista, che la Lega lo abbia girato a un fabbro moscovita in cambio di 209 milioni di serrature per sprangare i porti.

Ma la mia preferita, dal punto di vista narrativo, è che il possessore del bigliettissimo sia ancora all’oscuro di tutto e passi il tempo a lamentarsi per la sua sfortuna, invidiando l’amico che ha appena rimediato cinque euro al gratta e vinci.

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