Quelli che sono nati a partire dalla metà del secolo scorso non si rendono conto dell’epoca fortunata in cui hanno vissuto e stanno vivendo, senza guerre e in regime di libertà e democrazia. Tutt’altra la vita di coloro che sono nati, invece, all’inizio del secolo scorso. Questi hanno attraversato due conflitti mondiali, che hanno preso complessivamente un decennio, preceduti da tensioni e seguiti da distruzioni, e poi venti anni di un regime dittatoriale.
Da questi disastri è stata scandita la vita di Mario Bracci, nato nel 1900 e morto nel 1959. Senese, fu un ingegno precoce. Allievo universitario di Piero Calamandrei (a cui rimarrà sempre legato) e di Guido Zanobini, che erano solo di un decennio più anziani di lui, si laurea appena ventunenne. Dopo un breve soggiorno in Germania (all’epoca non si era buoni giuristi se non si conosceva la cultura tedesca), la sua esistenza è stata caratterizzata da un primo ventennio di studio e di insegnamento e da un secondo ventennio di generosa dedizione all’organizzazione universitaria, alla politica nazionale e locale, e, infine, alla giustizia costituzionale.
Solo tre anni dopo la laurea diventa professore incaricato a Sassari, dove insegna diritto amministrativo, costituzionale, procedura civile. Nel 1925 è libero docente. Nel 1927 ha la cattedra di diritto amministrativo e dall’anno successivo insegna a Siena. In questo ventennio si concentrano tutte le sue opere scientifiche, che ruotano, secondo l’impostazione degli studi prevalente all’epoca, intorno all’atto amministrativo, dalla proposta all’atto complesso, all’atto inoppugnabile.
Mario Bracci fu tra “quelli che non marciarono”. Sottoscrisse nel 1925 il crociano manifesto degli intellettuali antifascisti. Il 3 settembre 1945 scrive: «io sono stato venti anni lontano dalla politica perché ero antifascista». E sottolinea la sua «amarezza di vivere per venti anni in disparte, estraneo alla vita del mio Paese».
Il suo «lungo esilio in patria» finisce nel 1944, con l’adesione al Partito d’Azione e la sua confluenza, allo scioglimento del partito, nel 1947, nel Partito socialista. Nel 1945-1946 subentra a Ugo La Malfa nel primo governo De Gasperi come ministro per il commercio con l’estero, contribuendo a due decisioni fondamentali di quel governo, l’amnistia voluta da Togliatti e il passaggio dei poteri dalla Corona alle istituzioni repubblicane. Dal 1944 al 1955 svolge il ruolo di rettore dell’università di Siena e dal 1951 al 1955 anche quello di consigliere comunale della sua città. Nel 1946 è membro della Consulta nazionale. Diventa poi componente dell’Alta Corte per la Regione siciliana e, nel 1955, viene eletto dal Parlamento giudice costituzionale.
Stefano Moscadelli, professore di archivistica all’università di Siena, ha scelto nell’archivio Bracci, conservato nell’archivio di Stato di Siena, documenti importanti di un decennio critico, 1934- 1945, che sono testimonianza delle inquietudini, degli scoramenti, e, nello stesso tempo, dell’attivismo di quegli anni. In queste pagine, introdotte e curate con grande acribia da Moscadelli, Bracci si rivela critico della faziosità dei senesi, dello spirito fascista di molti antifascisti, della poca educazione politica della popolazione, del carattere antidemocratico del comitato di liberazione. Lo studioso, per quanto giovane, è figura autorevole ed ascoltata sia dai fascisti (per esempio, riesce a non far prendere ostaggi da fascisti e tedeschi), sia dagli antifascisti, sia dalle forze alleate.
Percorre nel 1945 i paesi della provincia tenendo discorsi che sono qui raccolti e in cui dà prova di essere un uomo di studi che riesce a rendere chiari concetti difficili ad un pubblico molto vario. A quel pubblico gli spiega che occorre iscriversi ai partiti politici e che la libertà è il «complesso delle garanzie che permettono a un uomo di non avere più paura di un altro uomo».
Espone quello che «vogliamo che nella Costituzione sia assicurato ad ogni cittadino», elencando il riconoscimento delle libertà, dei diritti politici, del diritto (e del dovere) di lavorare, nonché la necessità di una riforma agraria e di una riforma industriale che comportino la statizzazione del credito e la socializzazione dei grandi mezzi di produzione. A questo aggiunge anche l’elezione diretta del capo dello Stato. Preoccupazione costante di Bracci è di spiegare che la politica non è un “mestiere sporco”, ma che «bisogna evitare che i cittadini si sostituiscano allo Stato» per farsi giustizia. Insomma, in queste pagine di Bracci si trova il disegno della Costituzione che sarà poi adottata nei due anni successivi.
L’antica Accademia senese degli Intronati, un’istituzione che risale al 1525, e di cui Bracci è stato membro, ha acquisito un grande merito nel pubblicare i preziosi documenti contenuti in questo volume.