Taccuino
C’è una drammatica coerenza nella decisione, ormai matura, di Liberi e uguali, di dire «sì» a Zingaretti per il Lazio e «no» a Gori per la Lombardia: il partito di Grasso, D’Alema, Bersani e della sinistra radicale conferma così di essere nato e voler affrontare le prossime elezioni con l’obiettivo di far perdere Renzi. La maggior regione italiana, dove dopo la rinuncia di Maroni i giochi si sono inaspettatamente riaperti, rappresenta per i fuorusciti dal Pd e i loro alleati, non la sfida per provare a ribaltare una tornata elettorale che nazionalmente vede favorito il centrodestra, ma l’occasione per infliggere un colpo decisivo all’ex-premier, che a Milano, con Sala, e insieme alla sinistra tenuta miracolosamente insieme in coalizione, aveva segnato uno dei suoi pochi risultati positivi nelle amministrative, e poteva pensare di metterlo a frutto sia per le regionali che per le politiche. Sostenere Zingaretti, al contrario, come hanno fatto per cinque anni nel Lazio, può significare in qualche modo restare in famiglia. Il governatore uscente – che affronta un passaggio molto difficile, contro una destra che si è ricompattata e potrebbe presentarsi con un candidato forte come Gasparri, e contro i 5 stelle che come s’è visto a Ostia hanno ancora un forte controllo sul territorio romano -, con Renzi non c’entra, seppure abbia tentato invano di avvicinarsi al «giglio magico». E con molti dei suoi alleati condivide la militanza da ragazzo nella Fgci, la federazione giovanile del vecchio Pci. Vincere o perdere con lui, agli occhi della variegata alleanza di LeU, può voler dire combattere una battaglia di sinistra. Tutto il contrario di quel che accadrebbe in Lombardia alleandosi con Gori. Vincere – e ancor di più perdere – accanto al sindaco di Bergamo equivarrebbe a negare le ragioni per cui l’alleanza tra exPd e sinistra-sinistra è nata. Ecco come si spiega la cautela di Grasso, che ai movimenti di pancia del suo partito deve ancora fare l’abitudine, e le dichiarazioni a doppio taglio di Bersani, quando dice che trattare si può, ma in Lombardia non vede traccia di un programma di sinistra. Si vedrà il 4 marzo se la scelta di presentarsi da soli, per mobilitare quella parte di elettorato che già non aveva condiviso la scelta di Sala, porterà davvero un risultato. Resta il fatto che neppure l’appello di Prodi e Veltroni è riuscito a ottenere effetti dove aveva fallito, trovandosi costretto a ritirarsi, l’ex-sindaco Pisapia.
La Stampa – MARCELLO SORGI – 12/01/2018 pg. 5 ed. Nazionale.