Il gestore “Con Siena sarebbe un’operazione di sistema”

di Andrea Greco
MILANO — Alberto Chiandetti è il principale gestore in Italia di Fidelity International, il gruppo internazionale che investe in tutto il mondo 670 miliardi di dollari in gestione.
] Il caso Unicredit-Mps, che ha posto le premesse per il passo indietro dell’ad Jean Pierre Mustier da Unicredit, arriva dopo un crescendo interventista su Alitalia, Ilva, Aspi e altri. È la prova finale dell’eccessiva ingerenza del governo nelle aziende italiane?
«L’intervento pubblico nell’economia, nelle crisi, può essere auspicabile se sa attutire impatti socio-economici che potrebbero comportare problemi maggiori. Senza l’espansione dei budget governativi, aggiunta a politiche monetarie espansive, dopo il Covid avremmo visto tassi di default molto più alti tra imprese. Ci sono casi dove l’intervento pubblico è in atto da molto tempo senza far intravedere soluzioni, come per Alitalia. Altri casi dove è diretto a controllare il rispetto delle concessioni, come in Atlantia.
L’importante è che l’intervento avvenga nel rispetto della concorrenza, e della corretta allocazione del capitale di ogni azienda. Ci sono casi di enorme successo, come Enel, o Poste, dove il controllo pubblico ha supportato le strategie del management».
L’uscita del capoazienda Mustier da Unicredit dopo quattro anni riapre il tema del rapporto tra il mercato e gli interessi domestici della banca italo-tedesca. Qual è la sintesi migliore?
«Durante la pandemia il settore bancario è stato strumento per la soluzione del problema rispetto alla crisi 2009, quando le banche furono parte del problema. Il ruolo di cinghia di trasmissione alle aziende della liquidità generata dalle politiche monetarie espansive è stato garantito con garanzie pubbliche sui crediti, allettanti condizioni delle aste Tltro della Bce e anche allentando alcuni vincoli regolatori sul capitale.
Ovviamente ciò ha penalizzato gli azionisti, che hanno dovuto rinunciare a cospicui flussi di dividendi a fronte della protezione dei depositi».
Ma quello che va emergendo su Unicredit ha portato l’azione a perdere un miliardo e mezzo di capitalizzazione in due sedute: non si poteva evitare?
«In merito a Unicredit, mi pare che la vicenda si inquadri nell’ambito delle scelte strategiche legate al consolidamento del settore in Italia, per favorirne l’irrobustimento a vantaggio di altri portatori di interessi, come correntisti e obbligazionisti, e garantire la continuità del flusso di finanziamenti ad aziende italiane. È un’operazione “di sistema”, che il mercato dovrà capire e poi digerire. Nell’attesa, e nell’incertezza, la reazione degli investitori è comprensibile».
Di Unicredit siete azionisti con una quota frazionale, che non vede questa banca tra i primi 10 titoli del vostro portafoglio al 31 ottobre. Cosa vi aspettate come azionisti?
Esistono condizioni gradite al mercato per rilevare Mps?
«Negli ultimi anni le interazioni con il management Unicredit, a tutti i livelli, sono state sempre positive. E abbiamo sempre supportato le logiche strategiche sottostanti al piano aziendale.
Un’eventuale operazione con Mps sarebbe certo complessa, e il settore già vede una redditività compressa. Anche qui però la valutazione sarà possibile solo se saranno noti i dettagli. È chiaro che, se deciderà di procedere, il cda valuterà con attenzione le condizioni necessarie, sia dal lato capitale che dei rischi, per un’operazione simile».
Qual è la vostra visione su Italia ed Europa nel 2021? Su quali settori puntate di più?
«Stiamo vivendo gli effetti di una crisi veloce ma intensa, ritengo che il recupero sia in atto, lento e costante. L’arrivo dei vaccini fa sperare in una ripresa. Le condizioni finanziarie sono ancora molto espansive e nel 2021 vedremo i primi impatti del Recovery fund. Questo contesto ci fa vedere favorevolmente i settori più ciclici, sia dei consumi sia dell’industria» .
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