IL DUELLO NEL PD PUÒ PORTARE A ELEZIONI ANTICIPATE

di Massimo Franco

L’impressione è che siano gli avversari di Matteo Renzi a temere di più la rottura con lui sulla legge elettorale. Il canovaccio di queste ore presenta una minoranza del Pd che moltiplica gli appelli a ragionare, a trovare un compromesso, a scongiurare la spaccatura del partito: quale che sia; e un governo che invece non mostra di volere fare concessioni. In modo asciutto lo ha ribadito ieri Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme. «La legge funziona e va bene così com’è, non c’è necessità di modifiche», è la sua tesi. E il punto di caduta di questo scontro non è ancora chiaro.
Le modifiche vanno presentate entro il 17 aprile. E sullo sfondo rimane l’eventualità di un ricorso alla fiducia. Una scelta così radicale da parte del presidente del Consiglio sarebbe accolta come una forzatura. E darebbe fiato a quanti, nel Pd e nelle opposizioni, accusano Renzi di volere una legge su misura. Già si indovinano appelli al Quirinale per contrastare un epilogo che sancirebbe la spaccatura del Parlamento. Alcuni esponenti del Pd preannunciano che non voteranno l’ Italicum . La fronda più possibilista insiste sulla necessità di trovare l’unità, avvertendo il pericolo di una frattura del maggior partito: viene evocata nella lettera a Renzi dell’area che fa capo al capogruppo Roberto Speranza.
E M5S, Forza Italia e Lega soffiano su queste inquietudini. Il Mattinale , bollettino dei berlusconiani, non parla più di Italicum ma di Florentinum , alludendo alla città d’origine del premier. E bolla la legge come «pericolosa». Si fa presente che lo svuotamento del Senato previsto dalla riforma costituzionale accentuerebbe il potere del capo del governo. Eppure, il fronte avversario è diviso. Renzi è uno spauracchio che lo compatta solo in parte.
La stessa minoranza del Pd appare percorsa da spinte contrastanti sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Palazzo Chigi: divergenze che finiscono per favorire la strategia renziana. I mediatori cercano di ottenere una qualche soluzione che permetta di far rientrare il «no» reciso di esponenti come l’ex segretario Pier Luigi Bersani. Ma il premier non apre spiragli. È convinto che i suoi oppositori si siano infilati in un vicolo cieco. E confida che saranno costretti a fermarsi prima di provocare uno strappo nel Pd, dalle conseguenze destabilizzanti.
L’ipotesi di chiedere la fiducia per compattare la maggioranza alla Camera sarebbe la conseguenza logica di questa sfida sull’orlo del precipizio. Il risultato a Montecitorio sarebbe scontato a favore del governo. Ma Renzi si ritroverebbe senza una maggioranza sicura al Senato, quando si tratterà di approvare la riforma costituzionale. È uno schema che mette in evidenza un rosario di errori ben distribuiti tra i protagonisti. Il problema è evitare che a pagarli sia il Paese, con una corsa inerziale verso le elezioni anticipate.