Nell’era d.C. (dopo Covid, ndr) si muore di più, ma non solo a causa del virus. Naturalmente si tratta di una provocazione, ma in Italia la cosa pubblica continua ad essere governata “per emergenza”. Quando l’emergenza vera consiste nella necessità di riforme strutturali. Nel Paese in cui Marianna Madia, ex ministro della Pubblica Amministrazione suggerisce di chiudere le scuole superiori per alleggerire le corse dei mezzi pubblici, può sembrare strano, se non addirittura provocatorio, suggerire di aumentare le corse, spendendo in deficit approfittando dello stop al patto di stabilità. Ci ritroveremmo un servizio più efficiente anche a fine pandemia e perché no, visto che il tema del sovraffollamento sui mezzi pubblici risulta un problema anche nell’era a.C. (avanti Covid, ndr)?

La proposta della Madia, oggi stampella di governo in quota Renzi, trova il favore di docenti terrorizzati e adolescenti impazienti di tornare al bivacco da divano, risultando quindi molto popolare, come suggerito anche dai mezzi stampa, tv e affini. Cosa accade quando, invece, con lo stesso approccio si affronta il tema della sanità? “I nostri ospedali” racconta F., medico ospedaliero a Roma “sono già fuori controllo”, non solo per il Covid, ma anche perché i medici di base non riescono a gestire il troppo lavoro derivante dall’emergenza e quindi visitano meno. I controlli sono diminuiti drasticamente e anche le visite dai medici specialisti. Le persone muoiono a migliaia, più di prima. Come riporta anche uno studio dell’Istat:

L’eccesso di decessi è presente nei mesi di marzo ed aprile 2020 con 45.186 decessi in più, di cui 28.282 (63%) potrebbero essere considerati decessi Covid-19 secondo quanto riportato alla Sorveglianza integrata.

Per fare un esempio concreto, la mortalità per infarto è aumentata di tre volte dall’esplosione della crisi e sono moltissimi i casi di cronaca che ne confermano la drammaticità. Non si tratta solo della paura di accedere al pronto soccorso, che sicuramente costituisce un dato importante, ma anche del ritardo nelle cure dovuto alla farraginosità dei protocolli anti Covid che per quanto attenuati dall’ottima preparazione dei nostri medici e operatori sanitari, risulta un ostacolo oggettivo. Oltretutto in molti ospedali e studi Asl, i dpi (dispositivi di protezione individuale, ndr) non sono sufficienti, fattore che contribuisce a rallentare ulteriormente le cure ai pazienti oltre a mettere in pericolo i medici che devono procurarsi da sé tutto il materiale. Sono passati mesi dall’inizio dell’emergenza e si continua a spendere male e poco. È il momento di una vera riforma del welfare, non solo sanitario, come già suggerito mesi fa, bisogna rinforzare i servizi essenziali: sanità, istruzione, trasporti. Ora o mai più.

Negli ultimi mesi, in campo sanitario, tutti gli sforzi sono stati profusi per arginare l’epidemia di Coronavirus. A Milano è stato costruito in poche settimane un ospedale dedicato solo al covid, ma la struttura dovrebbe entrare in gioco solo quando i 17 hub ospedalieri lombardi avranno le terapie intensive piene. Oltre a non essere logico, viene da chiedersi perché ostinarsi a mischiare pazienti Covid e non Covid e perché focalizzarsi solo sulle terapie intensive quando l’allarme più grande di questi giorni deriva dai posti letto in reparto. Mancano i letti nei reparti e questo succede da anni, ma solo adesso ce ne occupiamo. Siamo talmente messi male che le donne in molte città sono costrette a fare la coda in corridoio per la sala parto e questo accade da anni. Le degenze si allungano sempre di più anche e soprattutto per mancanza di personale e nel frattempo i grandi ospedali chiudono. Solo a Roma negli ultimi anni sono stati chiusi Forlanini, Nuovo Regina Margherita e San Giacomo, tre eccellenze che non hanno resistito all’austerity della sanità, e oggi si paga cara la mancanza di posti letto nei reparti oltre che nelle terapie intensive.

L’emergenza sanitaria più grande riguarda la mancanza di personale, da molto prima del coronavirus, stesso aspetto vale per le scuole che mancano di insegnanti e per i servizi pubblici cui bisogna conferire più mezzi e più turni. Eppure non si è pensato di facilitare l’accesso a queste professioni fin da subito. La programmazione, piuttosto che la gestione straordinaria richiesta dall’emergenza, rimane una chimera. In ambito sanitario la mancanza di personale negli ospedali allunga i ricoveri e meno si dimettono pazienti, meno si liberano i posti, sia di reparto che di terapia intensiva. L’obiettivo di governo in piena di crisi era di aumentare i posti letto in terapia intensiva, portandoli da 5179 a 8732; a metà ottobre 2020 i posti sono ancora 6458. La responsabilità di questa inefficienza non è da imputare solo al governo centrale, ma anche ai governatori regionali. Le regioni fino ad adesso hanno usato solamente un terzo dei fondi che il governo ha già messo a loro diposizione per fronteggiare l’emergenza. Le regioni hanno già ricevuto una dote di 3,4 miliardi di euro di cui circa due miliardi sono destinati al potenziamento delle strutture sanitarie. Ne sono stati spesi solo 734 milioni, come riporta il Fatto Quotidiano.

Anche sul fronte vaccini antinfluenzali il caos è iniziato, insieme al rimpallo di colpe. Il governo aveva promesso vaccini per tutti, ma ancora non sono disponibili in molti centri vaccinali e ci si chiede se si riuscirà a somministrare i vaccini antinfluenzali dando la priorità alle categorie a rischio. In Lombardia sono solo 2,3 milioni le dosi in arrivo, a fronte di una platea che la Regione stima in 2,7 milioni, ma non è la sola regione in difficoltà. Non è esistito e tuttora non esiste un coordinamento centrale: nessuna normativa vietava la possibilità di fare un bando unico nazionale per i vaccini antinfluenzali. Inoltre il personale delle Asl non riesce a fronteggiare l’emergenza. I medici di base e i pediatri lottano con una farraginosa burocrazia, perché spesso l’esito del tampone non è accompagnato da un referto immediato e questo rallenta ancor di più la guarigione certificata.

Il certificato medico richiesto a scuola dopo tre giorni di assenza ha complicato ancor di più la situazione perché ha prodotto, in alcuni casi, l’effetto contrario. Molti bambini vanno a scuola raffreddati pur di non sforare i tre giorni ed essere così costretti ad effettuare il tampone per una semplice rinite. Di contro i pediatri, giustamente, si rifiutano di certificare che non si tratta di covid senza un esame diagnostico ed ecco che migliaia di famiglie sono costrette ad ore di fila nei drive in per effettuare tamponi completamente inutili, mentre, nel frattempo, il personale Asl non riesce a star dietro alle indagini di contact tracing. Ancora una volta, inoltre, ci si mette di mezzo il profitto. Tito Boeri nella trasmissione Piazza Pulita del 15 ottobre, ha ricordato che i dirigenti sanitari spesso (accade in Lombardia) devono rispettare degli obiettivi di fatturato cui avrebbero risposto degli incentivi e dei bonus a medici e operatori. La preoccupazione degli ospedali, in piena pandemia, ma non solo a quanto sembra, è quella di fare sodi, non di curare e organizzarsi in questo caso, nell’attesa di una nuova ondata.

Problemi emergenziali che si risolvono solo con soluzioni strutturali e programmate. In uno Stato in cui la disoccupazione giovanile sfiora livelli record sarebbe utile pensare di formare ad assumere lavoratori nei servizi. Nella Asl Roma 1, quaranta persone hanno il compito di effettuare le indagini sul Covid ad un’utenza di circa un milione di persone. Il responsabile chiede di poter assumere, ma la burocrazia non lo permette. Forse anche perché molti fondi sono ancora bloccati nelle regioni. Il tracciamento dei contagi è fallito, ma la responsabilità è di tutti. In Germania il rapporto è di 1 su mille, che vuol dire che l’Asl RM1 per essere al pari dovrebbe avere mille persone disponibili per il tracciamento e non è necessario che siano tutti medici. Assumere e farlo subito, senza concorsi.