Edith Stein, Oriana Fallaci: due donne fuori dal comune unite dalla lotta per i diritti
di Nicoletta Cusano
Il primo maggio del 1987 Giovanni Paolo II beatificava Edith Stein (canonizzata poi nel 1998), filosofa ebrea allieva di Edmund Husserl. I suoi lavori filosofici sono stati importantissimi per la Scuola fenomenologica di Friburgo, dove si forma anche Martin Heidegger. Divenuta suora carmelitana nel 1934, nel 1942 viene trucidata con la sorella Rosa nel lager di Auschwitz-Birkenau.
La notizia di oggi — è il regista Joshua Sinclaire a confermarlo — è che Rai 1 ha deciso di mandare in onda la versione italiana del film su Edith Stein A rose in winter. La sceneggiatura è stata tradotta in italiano nel volume Edith Stein. Una rosa d’inverno (Scholé, Morcelliana 2019) dallo studioso Francesco Alfieri, che si è occupato a lungo della filosofia della Stein con ricerche di grande riscontro internazionale (è stato tradotto in varie lingue il suo libro La presenza di Duns Scoto nel pensiero di Edith Stein. La questione dell’individualità, Morcelliana 2014). Nella stesura della sceneggiatura, realizzata in collaborazione con Sinclaire, Alfieri ha ricostruito sia il percorso intellettuale che esistenziale della Stein. Nell’introduzione documenta le vere relazioni tra lei e Heidegger, ma non manca di sottolineare il particolare coraggio della donna, che nel 1933 scrive senza esitazione a Papa Pio XI per esortarlo a intervenire contro le persecuzioni degli ebrei. Nella prefazione del libro, Friedrich-Willhelm von Herrmann, ultimo assistente privato di Martin Heidegger, sottolinea l’importanza della Stein per la scuola fenomenologica di Friburgo.
Accanto a questo evento televisivo ne è imminente un altro, su una donna ugualmente coraggiosa: Oriana Fallaci. Il nipote Edoardo Perazzi rivela che negli Usa si sta girando una serie tv tratta dal romanzo Un uomo. Sempre di Francesco Alfieri, suo collaboratore dal 2000 al 2006, a ottobre uscirà una monografia dedicata a lei. Il testo, edito da Scholé, Morcelliana, si intitolerà Oriana Fallaci inedita, con foto di Oliviero Toscani e prefazione di Perazzi.
Cosa lega queste due donne all’apparenza così diverse? Il coraggio dello straordinario, nel senso letterale di «extra-ordine», fuori dall’ordine presente. La Fallaci, ad esempio, che nasce a Firenze nel 1929 (dove muore nel 2006), combatte fin da piccola i totalitarismi, tanto che a soli 14 anni riceve un riconoscimento dall’Esercito per la sua attività nella Resistenza. È lei stessa a raccontarlo: «Voglio morire nella torre dei Mannelli guardando l’Arno dal Ponte Vecchio. Era il quartier generale dei partigiani che comandava mio padre, il gruppo di Giustizia e Libertà. Azionisti, liberali e socialisti. Ci andavo da bambina, con il nome di battaglia di Emilia. Portavo le bombe a mano ai grandi. Le nascondevo nei cesti di insalata».
Azioni
Edith scrisse a Pio XI contro le persecuzioni degli ebrei. Oriana intervistò Khomeini: epica
Combatte ogni forma di sistema discriminatorio, specialmente contro la donna. Uno dei momenti più alti è l’intervista all’ayatollah Khomeini («Corriere della Sera», 26 settembre 1979). La Fallaci gli fa domande dirette, senza timore; e quando gli chiede perché le donne devono indossare il chador, come aveva dovuto fare lei («di questo “chador”… che mi hanno messo addosso per venire da lei e che lei impone alle donne, mi dica: perché le costringe a nascondersi come fagotti sotto un indumento scomodo e assurdo con cui non si può lavorare né muoversi?»), lui risponde: «Le donne eleganti e truccate come lei che se ne vanno in giro tutte scoperte trascinandosi dietro un codazzo di uomini… le civette che si truccano ed escono per strada mostrando il collo, i capelli, le forme… non hanno mai fatto nulla di buono quelle. Non sanno mai rendersi utili: né socialmente, né politicamente, né professionalmente. E questo perché, scoprendosi, distraggono gli uomini e li turbano». E aggiunge: «Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla. Perché la veste islamica è per le donne giovani e perbene». La Fallaci ringrazia ironicamente e getta a terra il chador: «Molto gentile. E, visto che mi dice così, mi tolgo subito questo stupido cencio da medioevo. Ecco fatto. Però mi dica: una donna che come me ha sempre vissuto tra gli uomini mostrando il collo e i capelli e gli orecchi, che è stata alla guerra e ha dormito al fronte con i soldati, è secondo lei una donna immorale, una vecchiaccia poco perbene?». L’irritatissimo ayatollah abbandona la stanza. L’intervista viene conclusa il giorno successivo. Khomeini indicò poi la Fallaci come «esempio da non seguire».
Questa è la radice della lotta della Fallaci contro un certo islam: l’intento di combattere i sistemi che soffocano i diritti inalienabili della persona. Francesco Alfieri, nella sua monografia, lo mostra utilizzando documenti, scritti e annotazioni inedite a margine di alcune pubblicazioni o su fogli sciolti, indicando come l’ateismo non avesse affatto condotto la Fallaci a visioni pregiudiziali contro la religione in generale. A controprova vi è il suo lascito alla Pontificia Università Lateranense, supportato anche dall’ottimo rapporto che aveva con Benedetto XVI, in relazione al quale scrisse: «Se un Papa e un’atea dicono la stessa cosa, in quella cosa dev’esserci qualcosa di tremendamente vero».
Edith Stein e Oriana Fallaci, così diverse, sono accomunate dalla lotta per i diritti della persona. Si potrebbe obiettare che in verità l’uomo non è mai mosso da valori umanitari, perché è essenzialmente egoista e il fine del suo agire è sempre autoreferenziale. Anche la carità più disinteressata è una forma di autogratificazione. Tuttavia, anche accettando la concezione più negativa dell’umano, quale ad esempio quella di Thomas Hobbes per cui l’uomo è «lupo per gli altri uomini» (homo homini lupus), è indubbio che in quelle azioni accada sempre qualcosa di grande: il coraggio di non tacere, di non lasciare le cose come stanno, di contrapporsi a un ordine presente di cose. Il coraggio dello straordinario.
Ma l’uomo nella sua essenza è solo luogo di un egoismo primario? Si deve rispondere di no almeno per un motivo, che è poi quello fondamentale. L’uomo è molto di più, è il luogo in cui accade qualcosa di assolutamente originario e intrascendibile: la coscienza, l’apparire, la notizia delle cose. Quello che Cartesio ha chiamato cogito.