di Massimo Franco
Lo sgambetto fatto ieri al governo nell’aula del Senato da uno schieramento che va dal centrodestra ai renziani tende a essere considerato un embrione di maggioranza «da Quirinale». Come dire: se vogliamo abbiamo i voti per eleggere il «nostro» capo dello Stato. Ma è soprattutto una sfida e un avvertimento all’asse tra M5S e Pd, che reagiscono accusando Iv di preparare un’altra crisi dopo quella che ha affossato il secondo esecutivo di Giuseppe Conte. Sospetti legittimi ma forse esagerati. Chi chiede a Lega, FI e Iv se si considerino ancora parte della coalizione ha qualche ragione per farlo.
Atteggiamenti «di lotta e di governo» evocano tentazioni di forzature destinate a acuirsi, alimentando sospetti e conflitti. È difficile, tuttavia, non vedere qualcosa di più: un malessere e un nervosismo diffusi, conseguenze dell’incertezza che avvolge l’esecutivo. Non avere ancora chiaro se il premier resterà al suo posto o sarà candidato a succedere a Sergio Mattarella moltiplica le spinte centrifughe da parte di chi annusa il voto anticipato; e dunque si muove con logiche che sono già da campagna elettorale, moltiplicando le pressioni sulla Finanziaria.
Si tratta di manovre e calcoli ad alto rischio. Pensare di indebolire Palazzo Chigi per indurre magari Mario Draghi a esporsi sul Quirinale, accreditando o escludendo una sua candidatura, sa di provocazione. E ritenere che con i distinguo si possa ottenere qualcosa appare illusorio. Se fin d’ora i partiti si mostrano pronti a rivendicare una propria agenda a costo di logorare il premier, figurarsi che succederà da gennaio; o dopo la scelta del prossimo capo dello Stato.
Lo scenario sarebbe così teso e confuso da rendere complicata non solo la sopravvivenza dell’attuale governo, ma l’esistenza di qualunque esecutivo. Anche per questo il segnale arrivato dal Senato dovrebbe essere interpretato con freddezza e preoccupazione: sia da quanti, centrodestra e Iv, celebrano la «vittoria» dopo avere fatto approvare due emendamenti in contrasto con le indicazioni governative; sia da chi, come M5S e Pd, non ha saputo o voluto raggiungere una mediazione, permettendo che l’incidente si verificasse e uscendo sconfitti.
Anche perché di qui a fine gennaio, le coalizioni che si rivelano a intermittenza in Parlamento potrebbero risultare più fragili e effimere di quanto appaiano. L’impatto con le votazioni al Quirinale sembra destinato non a cementarle ma a scomporle e ricostruirle su basi diverse. Vale per il centrodestra, per la sinistra, e per la nebulosa grillina: tutti percorsi da tensioni che non garantiscono a nessun leader il controllo dei gruppi parlamentari; né la lealtà degli alleati. Gli screzi tra Pd e grillini registrati ieri sulla manovra finanziaria lo dimostrano.