Il boom delle telecamere nelle città. Ma i dati bocciano i sindaci-sceriffi
Davide Lessi
Il Grande Fratello ci guarda. Non serve leggere il romanzo distopico di George Orwell. E nemmeno guardare l’omonimo programma, il più longevo della televisione italiana. Basta alzare lo sguardo camminando tra le nostre strade. Da Roma a Milano, passando per Torino: la passione per la videosorveglianza non ha colore politico.
L’ultimo a essersene infatuato è il sindaco dem Dario Nardella. «L’obiettivo è di rendere Firenze la città più videosorvegliata d’Italia, perché la sicurezza dei cittadini viene prima di tutto», ha scritto su Twitter alla vigilia di Ferragosto, rivendicando di aver installato in cinque anni 668 telecamere nella sua città. La Milano “illuminata” di Beppe Sala non è da meno: vuole raggiungere quota 2.200 telecamere e, per farlo, ha già stanziato nel bilancio del Comune 4 milioni. Anche in casa 5 Stelle la sicurezza urbana passa per i dispositivi video: a Torino, la sindaca Appendino ha promesso di abbassare Imu e Tasi a chi installa gli apparecchi di videosorveglianza. Roma, amministrata dalla collega grillina Raggi, imita New York e con la municipalizzata Acea installerà degli “occhi digitali” sui pali della luce della Capitale che, secondo uno studio di Comparitech, è già tra le 50 città più videosorvegliate al mondo.
Qualcuno dirà che sono città con un patrimonio artistico e storico da tutelare. Ma l’ossessione riguarda una miriade di Comuni in tutt’Italia: a Solesino, piccolo centro nel Padovano, il sindaco “sceriffo” ha dichiarato di voler installare una telecamera ogni 50 abitanti. In Liguria si distinguono Recco (con il via libera a un appalto biennale di 60 mila euro per «avere una città controllata per 24 ore») e La Spezia che ha chiesto 80 mila euro a Viminale e Regione.
La ricerca svedese-britannica
L’equazione è semplice: più telecamere uguale più sicurezza. Ma non è così. Una ricerca, pubblicata quest’anno e finanziata dal Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità e dall’Università di Cambridge, dimostra che la realtà è più complessa. Ovvero, «pur riconoscendo un effetto deterrenza in particolari casi e luoghi» (come parcheggi ed esercizi commerciali), non si può individuare una correlazione diretta tra aumento della video-sorveglianza nelle strade e riduzione della criminalità. L’esempio di Londra aiuta a chiarire. La British Security Industry Authority ha stimato che nel 2013 la Gran Bretagna avesse una telecamera a circuito chiuso ogni 14 persone, rendendo la popolazione britannica tra le più sorvegliate al mondo. Un rapporto interno della polizia londinese, nel 2010, indicava che gli investigatori avevano risolto un solo crimine su mille documentati dalle telecamere.
Il business
Una cosa è la sicurezza, altra la percezione. Non è un caso che in Italia il giro d’affari delle aziende che producono e distribuiscono sistemi di sicurezza abbia superato i 2 miliardi di euro. E questo nonostante per il rapporto Censis-Fersicurezza (2018) i reati denunciati sono diminuiti rispetto al 2008 del 17.6% e del 10,2% tra 2017 e 2018. La richiesta è chiara: gli italiani vogliono sentirsi più sicuri. La soluzione dei sindaci non ha evidenze scientifiche, ma basta a dare una percezione di controllo del territorio. E pazienza se il prezzo da pagare è la rinuncia della privacy, il Grande Fratello è tra noi. —