Il commento
Salvini non aveva e non ha il potere di ordinare l’arresto di nessuno, ma l’immagine di uomini neri che scendono da una nave italiana con le catene ai polsi ha una tale forza evocativa, che è come se fosse accaduto; ed è già così, in questa sua realtà virtuale, una violazione dei diritti umani fondamentali. È vero infatti che, grazie al presidente Mattarella, tutto è finito come doveva finire in un Paese che è ancora uno Stato di diritto e di misericordia.
I segue dalla prima pagina Tutto è finito con lo sbarco dei naufraghi e la denunzia di due sole persone su 67, tra i quali tre donne e tre minori, e per un’ipotesi di reato – violenza privata – che non prevede le manette.
Ma in questi strani giorni ciascuno l’aveva costruita con la propria immaginazione quell’immagine che a noi pare terribile e all’Italia leghista della tracimazione rancorosa sembra invece magnifica.
Ovviamente Salvini sa bene che chiunque, lui compreso, al posto di quei migranti si sarebbe comportato come i due indagati, agitandosi, gridando, e contestando la volontà di riportare i 67 sopravvissuti nell’inferno dal quale erano scappati. Semmai c’è da chiedersi perché non si siano ribellati, e più decisamente, tutti e 67, come vorrebbe il buon senso e anche la letteratura di mare, a partire da Melville, il quale raccontò nel suo Benito Cereno l’ammutinamento antirazzista su un mercantile spagnolo, sovvertendo gli stereotipi dell’epoca che purtroppo somigliano ancora a quelli di oggi. È probabile che alla fine quei 67 infelici avessero capito che gli italiani che avevano preso a bordo i loro corpi umiliati e maltrattati mai li avrebbero riportati e trascinanti di peso davanti alle coste libiche? La nostra impressione, la nostra speranza, è che l’Italia generosa, prima a bordo della Vos Thalassa e poi a bordo della Diciotti, abbia inscenato, come chiamarla?, “l’ ammuina antirazzista” contro “l’ ammuina razzista” del ministro. E perciò hanno esagerato le minacce, per salvare quei naufraghi dall’Italia di Salvini che è diventata feroce per paura. L’Italia si riconosce irriconoscibile all’Italia: ma davvero siamo noi? Ecco: in questi giorni io ascoltavo Salvini alla radio e già li vedevo scendere i neri incatenati con le camicie aperte sul petto; leggevo le parole del ministro e subito la memoria si metteva in moto legando ricordi: il monumento nel porto di Livorno con i 4 neri soggiogati, Il colore viola di Spielberg, Django Unchained di Tarantino, i ceppi del Tennessee, le navi dei negrieri. Iperboli? Salvini l’ha ripetuto cosi tante volte che non li avrebbe fatti scendere se non in manette che alla fine l’Italia ha creduto che potesse farlo davvero. A lui non importava che le minacce fossero inventate, figuriamoci. Non c’è infatti bisogno che i migranti facciano qualcosa di proibito: scontano semplicemente il fatto di essere dei naufraghi salvati da una nave italiana. Il loro crimine è di essere sopravvissuti. E il razzismo gaglioffo non vede nell’evocazione dell’immagine dei neri in catene gli schiavi da domare, ma l’arresto degli invasori selvaggi e scrocconi. La memoria del razzismo si nutre di angosce che non sono le nostre. La sua immaginazione mette i ceppi ai neri di piazza Vittorio, ai nigeriani di Macerata, ai vucumprà di Rimini, ai lavavetri di Siena e di Pisa, a “la friche” di Gilles Clément: le piante vagabonde, i residui, la proiezione del male, le bisce, i serpenti, gli stranieri. Smettiamola dunque di ridere del “come se” di Salvini e delle sue sbruffonate. È purtroppo serissima la sarabanda delle sue puttanate, compreso il gran finale contro Mattarella e contro il procuratore di Trapani Alfredo Morvillo («Sono stupito») che fa pendant con il grande inizio, vale a dire con l’invenzione delle minacce di morte: «O ci sbarcate o vi ammazziamo», hanno titolato i giornali che lo fiancheggiano nel mettere ogni giorno in scena un’Italia a sua misura, gli stessi che inventano l’attico di Roberto Saviano a Manhattan e l’appartamento a Montecarlo di Gino Strada. E pensate all’abuso delle parole dirottamento e ammutinamento. L’astuto Salvini sapeva che sarebbe stato canzonato e preso in giro come incompetente, che sarebbe stato irriso e trattato come un tontolone che non conosce i codici, cominciando con il confondere i migranti con l’equipaggio.
La sua “destra di popolo” è attrezzata contro le ironie e contro i sentimenti e le magliette rosse: i suoi nemici sono tutti liquidati come radical chic che non vogliono ospitare i neri dentro le loro case, sono i buonisti ipocriti, i pietisti comunisti. Anche Mattarella è un radical chic? Corbellerie, è vero. Ma la parola dirottamento rimanda al terrorismo e la parola ammutinamento rimanda al Bounty di Marlon Brando al Caine di Humphrey Bogart, all’autorità che sulle navi deve essere rispettata anche quando è senza cuore, alle vittime che diventano carnefici, al conflitto fra le regole e la libertà. Salvini sa che l’ammutinamento è un reato militare e che due migranti arrabbiati non sono né un equipaggio né un carcere in rivolta. Ma non si cura né della verità né dei codici. E anzi si nutre dei motteggi dei professori e degli scienziati del diritto, che sarebbero l’élite mentre lui sarebbe il popolo. Sapeva che sarebbe toccato al giudice indagare e che lui non ha né competenze né poteri, non essendo né procuratore né ministro dei trasporti.
Ma è lì, nel porto di Trapani, che questa sua pantomima ha raggiunto il punto di massima chiarezza. E speriamo che tutti l’abbiano capito. Matteo Salvini finge di disporre di superpoteri e dunque, ogni volta affacciandosi al virile balcone del suo Twitter, esibisce il ” ghe pensi mi” dell’uomo forte pur sapendo di non avere la forza che ostenta. Certo, è facile ridere del capitano (così lo chiamano i suoi) che un giorno spezza le reni alla Germania della Merkel e il giorno dopo rimbrotta il francese Macron come un plutocrate. I razzisti sono una banalità di cui è purtroppo pieno il mondo, ma Salvini, benché sia ridicolo, è più pericoloso perché arricchisce la vecchia pulsione della destra italiana per “il qui ci vuole un uomo” con una passione sincera e un delirio creativo contro i poveri, i naufraghi, i neri, gli islamici, i gay, i clochard, i Rom… A tutti vuole mettere le manette.
Non c’è bisogno che i migranti facciano qualcosa di proibito: scontano il semplice fatto di essere naufraghi, dei sopravvissuti.
I segue dalla prima pagina Tutto è finito con lo sbarco dei naufraghi e la denunzia di due sole persone su 67, tra i quali tre donne e tre minori, e per un’ipotesi di reato – violenza privata – che non prevede le manette.
Ma in questi strani giorni ciascuno l’aveva costruita con la propria immaginazione quell’immagine che a noi pare terribile e all’Italia leghista della tracimazione rancorosa sembra invece magnifica.
Ovviamente Salvini sa bene che chiunque, lui compreso, al posto di quei migranti si sarebbe comportato come i due indagati, agitandosi, gridando, e contestando la volontà di riportare i 67 sopravvissuti nell’inferno dal quale erano scappati. Semmai c’è da chiedersi perché non si siano ribellati, e più decisamente, tutti e 67, come vorrebbe il buon senso e anche la letteratura di mare, a partire da Melville, il quale raccontò nel suo Benito Cereno l’ammutinamento antirazzista su un mercantile spagnolo, sovvertendo gli stereotipi dell’epoca che purtroppo somigliano ancora a quelli di oggi. È probabile che alla fine quei 67 infelici avessero capito che gli italiani che avevano preso a bordo i loro corpi umiliati e maltrattati mai li avrebbero riportati e trascinanti di peso davanti alle coste libiche? La nostra impressione, la nostra speranza, è che l’Italia generosa, prima a bordo della Vos Thalassa e poi a bordo della Diciotti, abbia inscenato, come chiamarla?, “l’ ammuina antirazzista” contro “l’ ammuina razzista” del ministro. E perciò hanno esagerato le minacce, per salvare quei naufraghi dall’Italia di Salvini che è diventata feroce per paura. L’Italia si riconosce irriconoscibile all’Italia: ma davvero siamo noi? Ecco: in questi giorni io ascoltavo Salvini alla radio e già li vedevo scendere i neri incatenati con le camicie aperte sul petto; leggevo le parole del ministro e subito la memoria si metteva in moto legando ricordi: il monumento nel porto di Livorno con i 4 neri soggiogati, Il colore viola di Spielberg, Django Unchained di Tarantino, i ceppi del Tennessee, le navi dei negrieri. Iperboli? Salvini l’ha ripetuto cosi tante volte che non li avrebbe fatti scendere se non in manette che alla fine l’Italia ha creduto che potesse farlo davvero. A lui non importava che le minacce fossero inventate, figuriamoci. Non c’è infatti bisogno che i migranti facciano qualcosa di proibito: scontano semplicemente il fatto di essere dei naufraghi salvati da una nave italiana. Il loro crimine è di essere sopravvissuti. E il razzismo gaglioffo non vede nell’evocazione dell’immagine dei neri in catene gli schiavi da domare, ma l’arresto degli invasori selvaggi e scrocconi. La memoria del razzismo si nutre di angosce che non sono le nostre. La sua immaginazione mette i ceppi ai neri di piazza Vittorio, ai nigeriani di Macerata, ai vucumprà di Rimini, ai lavavetri di Siena e di Pisa, a “la friche” di Gilles Clément: le piante vagabonde, i residui, la proiezione del male, le bisce, i serpenti, gli stranieri. Smettiamola dunque di ridere del “come se” di Salvini e delle sue sbruffonate. È purtroppo serissima la sarabanda delle sue puttanate, compreso il gran finale contro Mattarella e contro il procuratore di Trapani Alfredo Morvillo («Sono stupito») che fa pendant con il grande inizio, vale a dire con l’invenzione delle minacce di morte: «O ci sbarcate o vi ammazziamo», hanno titolato i giornali che lo fiancheggiano nel mettere ogni giorno in scena un’Italia a sua misura, gli stessi che inventano l’attico di Roberto Saviano a Manhattan e l’appartamento a Montecarlo di Gino Strada. E pensate all’abuso delle parole dirottamento e ammutinamento. L’astuto Salvini sapeva che sarebbe stato canzonato e preso in giro come incompetente, che sarebbe stato irriso e trattato come un tontolone che non conosce i codici, cominciando con il confondere i migranti con l’equipaggio.
La sua “destra di popolo” è attrezzata contro le ironie e contro i sentimenti e le magliette rosse: i suoi nemici sono tutti liquidati come radical chic che non vogliono ospitare i neri dentro le loro case, sono i buonisti ipocriti, i pietisti comunisti. Anche Mattarella è un radical chic? Corbellerie, è vero. Ma la parola dirottamento rimanda al terrorismo e la parola ammutinamento rimanda al Bounty di Marlon Brando al Caine di Humphrey Bogart, all’autorità che sulle navi deve essere rispettata anche quando è senza cuore, alle vittime che diventano carnefici, al conflitto fra le regole e la libertà. Salvini sa che l’ammutinamento è un reato militare e che due migranti arrabbiati non sono né un equipaggio né un carcere in rivolta. Ma non si cura né della verità né dei codici. E anzi si nutre dei motteggi dei professori e degli scienziati del diritto, che sarebbero l’élite mentre lui sarebbe il popolo. Sapeva che sarebbe toccato al giudice indagare e che lui non ha né competenze né poteri, non essendo né procuratore né ministro dei trasporti.
Ma è lì, nel porto di Trapani, che questa sua pantomima ha raggiunto il punto di massima chiarezza. E speriamo che tutti l’abbiano capito. Matteo Salvini finge di disporre di superpoteri e dunque, ogni volta affacciandosi al virile balcone del suo Twitter, esibisce il ” ghe pensi mi” dell’uomo forte pur sapendo di non avere la forza che ostenta. Certo, è facile ridere del capitano (così lo chiamano i suoi) che un giorno spezza le reni alla Germania della Merkel e il giorno dopo rimbrotta il francese Macron come un plutocrate. I razzisti sono una banalità di cui è purtroppo pieno il mondo, ma Salvini, benché sia ridicolo, è più pericoloso perché arricchisce la vecchia pulsione della destra italiana per “il qui ci vuole un uomo” con una passione sincera e un delirio creativo contro i poveri, i naufraghi, i neri, gli islamici, i gay, i clochard, i Rom… A tutti vuole mettere le manette.
Non c’è bisogno che i migranti facciano qualcosa di proibito: scontano il semplice fatto di essere naufraghi, dei sopravvissuti.
La Repubblica – Francesco Merlo – 13/07/2018 pg. 1 ed. Nazionale.