I RADICALI E IL PASTICCIO DEL ROSATELLUM.

 

Il punto/COMMENTI
Quel che era evidente già da mesi, ora è lampante: la legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum, non funziona. O meglio: è talmente astrusa nei suoi meccanismi che richiede un’altissima dose di buon senso e di buona volontà per mettersi in moto. Il centrodestra ha trovato una convenienza reciproca, peraltro non semplice, nel mettere insieme un cartello di tre o addirittura quattro blocchi strutturati (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e “quarta gamba”): non una vera e propria coalizione, ma un patto d’interesse destinato forse a frantumarsi dopo il voto. Il Pd, no. E si capisce. Nella mentalità renziana non c’è l’idea dell’alleanza o dell’apparentarsi in vista di un obiettivo comune.
C’è invece l’istinto del partito acchiappa-tutto, fondamentalmente autonomo. Le astruserie della legge Rosato riflettono questo scoglio psicologico, questa tendenza persino irrazionale. A destra fanno ciò che più conviene, a sinistra ci si ritrova nel vicolo cieco. Il caso Bonino-PiùEuropa, con la questione paradossale delle firme e la quasi rottura con il Pd, è servita se non altro a far deflagrare la contraddizione. Può darsi che con i radicali si trovi alla fine un compromesso, anche se non si capisce quale. Ed è possibile invece che le circostanze obblighino la lista europeista a rinunciare all’intesa con il partito di via del Nazareno. In un caso come nell’altro ci sarà da riflettere sulla logica di un Pd che non sembra aver voglia di trattare da pari a pari con i potenziali alleati.
Certo, si tratta di numeri esigui: sia il gruppo Bonino sia i centristi di Lorenzin-Casini sia le sigle di Insieme sembrano sulla carta lontani dal 3 per cento. Ma la logica di un’intesa politico-elettorale, specie con un Pd isolato e in affanno, dovrebbe consigliare un supplemento di attenzione verso chi è disposto a camminare nella stessa direzione del partito renziano. Invece sembra che altre siano le priorità.
Ad esempio, incamerare a buon mercato i consensi di queste liste – in particolare quella di Emma Bonino. Il Rosatellum infatti prevede che al di sotto del 3 per cento non si partecipa alla distribuzione proporzionale dei seggi e i voti raccolti vengono attribuiti alla coalizione.
Nel caso in questione, poiché nessuno degli alleati arriverebbe al 3 per cento, i voti finirebbero in blocco al Pd che così potrebbe mascherare il magro risultato previsto dai sondaggi.
Messa in questi termini, la questione delle firme, che è un problema reale, maschera un nodo politico: la vocazione renziana alla battaglia solitaria, che rende difficile costruire una vera coalizione, magari aiutando gli alleati a uscire dalle sabbie mobili del Rosatellum. Questo nell’ipotesi in cui si ritenga che il contributo di idee proveniente da questi alleati (nel caso dei radicali, l’impegno per l’Europa) sia irrinunciabile in vista di alzare anziché deprimere la qualità dell’offerta politica.
Se invece prevalgono altri calcoli, vuol dire che i partner sono visti alla stregua di vassalli. O di semplici portatori d’acqua, ossia voti.
S’intende che il pasticcio del Rosatellum, ora che è esploso, può costituire anche un’opportunità, sempre che qualcuno voglia coglierla. La frattura con il Pd, se definitiva, potrebbe spingere i radicali e altre forze liberali a proporre una vera alternativa ai partiti in campo. Una lista davvero autonoma, senza apparentamenti, che chiede il voto per una politica liberal-democratica al di fuori dei compromessi. In tal caso il 3 per cento potrebbe non essere così lontano.
La Repubblica.
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