I cinesi hanno annunciano trionfanti di essere ormai all’offensiva nella guerra contro il contagio dal nuovo coronavirus. Sono due le armi più potenti che hanno messo in campo.
Epidemiologia digitale, con una straordinaria concentrazione di dati sia sanitari ma anche più largamente intesi per intercettare il sentiment delle popolazioni che erano ai confini delle zone più infestate dal virus, e un uso massiccio di intelligenza artificiale, nutrita dai dati, per interpretare e prevenire le dinamiche dell’epidemia.
La terza arma non è citata dai cinesi, perché non è nemmeno in discussione: un totale controllo centrale da parte del governo di tutta questa materia. In Italia, dove si chiedono misure drastiche su drogherie e lavanderie, invece sulla raccolta e analisi dei dati ci si muove in ordine sparso.
Mentre al Ministero della Sanità si moltiplicano gli sforzi per raggiungere e connettere i data base periferici e poter avere una bussola aggiornata dei comportamenti sociali in rete, la ministra Pisano continua a magnificare la sua soluzione, denominata, con amara ironia, solidarietadigitale.agide.gov.it.
Un vero catalogo di servizi digitali che sono offerti gratuitamente ai cittadini, fra questi, insieme agli abbonamenti dei giornali e alla consegna a domicilio delle provviste, attività che ora stanno diventando di massa, come il lavoro da casa, in smart working, la formazione in remoto con eLearning, e connessioni WiFi dedicate. A svolgere queste attività delicatissime e vitali sono state coinvolte le grandi piattaforme della Silicon Valley, come Microsoft, Amazon, Google e Facebook, gratuitamente, precisa la ministra.
In sostanza mentre si ci spacca la testa per aprire linee di collegamento con le comunità territoriali e registrare i dati per elaborare modelli previsionali sulla diffusione del contagio e lo stesso garante della Privacy Antonello Soro escogita deroghe alle norme di tutela dei cittadini per consentire rapidi accessi ai dati alle amministrazioni centrali, la ministra dell’innovazione non trova di meglio che incentivare l’uso delle piattaforme private dei monopolisti digitali, assicurando a loro l’acquisizione di quella che oggi nel mondo è considerata la materia più pregiata: i dati comportamentali del paese ritenuto il laboratorio nel contrasto al virus.
Senza nemmeno assicurarsi, cosa certo non complicata ne difficile, che questi dati che addestreranno gli algoritmi dei grandi gruppi americani per i prossimi anni, debbano essere almeno condivisi con il Ministero della sanità e la protezione civile, oltre che con le amministrazioni regionali.
Certo che siamo pressati dall’emergenza e nel perimetro della P.A: non ci sono realtà di cloud computing significative, anche se qualche esperienza di qualità è presente come le piattaforme dell’Inps e la potenza di calcolo dell’Eni.
E comunque, siamo pur sempre nel XXI° secolo, nel tempo del capitalismo della sorveglianza, quando la stessa Unione Europea ha richiamato gli stati solo qualche giorno fa ad assicurare autonomia e sovranità alle proprie comunità su dati e algoritmi.
Proprio il clima di emergenza deve portare il governo a spingere più avanti la frontiera della trasparenza e della condivisibilità dei dati che, per altro, coincide con l’affidabilità e la sicurezza dei dispositivi e dei risultati. In una prima fase, se si vuole comunque ricorre a infrastrutture più affermate, si deve imporre una riserva pubblica sui dati, concordando una piena condivisione con le amministrazioni governative più impegnate nel contrasto al virus.
Su questo ci aspettiamo una risposta immediata, prima che il saccheggio sia in uno stato avanzato , con la creazione di una cabina di regia sulla gestione dei dati che combini insieme alle competenze del ministero dell’Innovazione quelle della Sanità , delle regioni, della ricerca e della P.A.
Ci sentiremmo più sicuri.