Dopo l’uscita di D’Alema il coordinatore Scotto frena: “È cominciato un percorso, a maggio il congresso”. Zampa: “L’ex premier ha fatto grandi danni ai dem”
di Giovanna Casadio
ROMA. — Poco convinti, anzi insofferenti all’idea di confluire nel Pd che nel 2017 avevano lasciato, beccandosi anche l’insulto di “traditori”. Il ritorno dei bersanian-dalemiani di Articolo 1 nelle file dem è più complicato del previsto. Sui social, nella community Facebook del partito nato per scissione, la bilancia pende dalla parte dei militanti che nicchiano o si oppongono e contestano. «Certe posizioni renziane ci sono ancora nel Pd? Io credo di sì», dice uno. «Né scioglimento, né rientro», segnala un altro. Altro che un Pd guarito dalla malattia del renzismo: come ha detto Massimo D’Alema, sollevando un putiferio tra i Dem, annunciando di fatto il ritorno a casa.
Ora Arturo Scotto, il coordinatore di Articolo 1, frena. Precisa che è cominciato un percorso, che nessuno, neppure D’Alema, ha parlato di tornare semplicemente tra i Dem e soprattutto che «non è stato deciso alcuno scioglimento di Articolo 1». Sarà un congresso a maggio a trarre il dado. E quindi, l’uscita dalemiana — che è risultata così urticante nel Pd da avere provocato un orgoglioso tweet del segretario Enrico Letta — a cosa porta? Alla conferma di un percorso per ricomporre il campo progressista necessario per battere la destra», precisa Scotto. Percorso intrapreso a maggio scorso, con l’adesione alle Agorà volute da Letta per rilanciare e allargare il Pd. Dal Nazareno ribadiscono che le Agorà significano partecipazione dal basso e non una fusione di gruppi dirigenti. Letta aggiunge: «Per me il caso è chiuso».
Ma Miro Fiammenghi, storico dirigente della sinistra romagnola, vicino a Vasco Errani, ci tiene a sottolineare che «il Pd così com’è, non è in salute; Articolo 1 tanto meno: quindi, apriamo un discussione sul profilo politico di quello che vogliamo». Per Sergio Cofferati, l’ex segretario della Cgil, «una cosa insieme al Pd si può fare a patto che ci sia una condivisione della linea». Il dibattito è aperto. Enrico Rossi, l’ex governatore della Toscana, che aveva aderito al partito bersaniano e già nel 2019 è tornato nel Pd, la questione è che «l’avventura di Articolo 1 è stata un fallimento, è onesto riconoscerlo e occorre fare una analisi autentica e autocritica. Il Pd ha cominciato con Nicola Zingaretti ad aprirsi».
Nel partito di Letta, al centro della polemica c’è ora la proposta di un congresso per decidere se aprire o meno a sinistra, lanciata da Andrea Marcucci. Che resta però isolato. La stessa corrente di ex renziani, Base riformista, non condivide. Alessandro Alfieri, coordinatore della corrente, afferma che il congresso si farà a scadenza naturale. Enrico Borghi rincara: «Si terrà nel 2023 come previsto: noi ci occupiamo dei problemi degli italiani e non di noi stessi ». Insofferenza tanta verso l’ex premier ed ex ministro degli Esteri, D’Alema. Sandra Zampa, prodiana, ex sottosegretaria alla Salute, si sfoga: «D’Alema ha fatto grandissimi danni al Pd. Io credo che non sia mai stato un progetto nel quale abbia creduto. E penso che il Pd debba aprire le sue porte a chi crede in quel progetto e avremo fatto bene a farlo sempre».