Heidegger scelse Hitler e non cambiò mai idea.

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di Emmanuel Faye

Più di un anno e mezzo fa, in un mio articolo pubblicato da «Le Monde» il 24 gennaio 2014, menzionavo la «guerra di successione» ormai in atto tra gli heideggeriani incaricati di pubblicare la cosiddetta Opera completa dell’autore di Essere e tempo . Da una parte la Heidegger Gesellschaft controllata da Friedrich-Wilhelm von Herrmann, l’ultimo assistente di Heidegger, e da François Fédier, che supervisiona da decenni la traduzione francese dei testi di Heidegger per conto degli eredi. Dall’altra il Martin Heidegger Institut di Wuppertal creato recentemente da Peter Trawny, uno dei curatori dei volumi dell’ Opera completa e in particolare di quelli dei Quaderni neri . La notizia fornita dal «Corriere della Sera» il 4 luglio scorso, a firma Antonio Carioti, conferma quella mia diagnosi.
Se infatti il Martin Heidegger Institut non è che un’istituzione locale, nell’articolo di Carioti si legge che Peter Trawny annuncia adesso un progetto più ambizioso: il «Circolo internazionale Martin Heidegger» che egli intende fondare insieme a Donatella Di Cesare, già vicepresidente della Heidegger Gesellschaft prima delle sue recenti dimissioni. Lo scopo di tale «Circolo» sarebbe quello di «favorire la discussione critica dell’opera del filosofo». Nello stesso tempo Trawny, nel suo intervento apparso nello stesso numero del «Corriere», si propone di difendere la libertà di pensiero rispetto a chi, come me, avrebbe il torto di proporre una critica «mor ale» di Heidegger. Che dire?
Desta molta ironia vedere Trawny porsi come paladino della libertà di pensiero, che è inscindibile dalla libertà di espressione e di pubblicazione, quando la cura dei Quaderni neri è stata affidata a Trawny con il sostegno del figlio di Heidegger, Hermann, che si è reso famoso per tutta una serie di censure. Una delle più memorabili è quella subita da Franco Volpi quando ha voluto muovere delle critiche ad Heidegger nella sua prefazione alla traduzione italiana dei Contributi alla filosofia , di cui era curatore. In quel caso Hermann Heidegger ha letteralmente impedito la pubblicazione di quei passaggi.
Tornando a Trawny, che ha dichiarato di voler «salvare Heidegger», egli è ora il rappresentante della nuova apologetica ufficiale autorizzata e sostenuta dall’editore dell’ Opera completa di Heidegger, Vittorio E. Klostermann. Quest’ultimo infatti, a proposito di una nuova edizione del saggio di Trawny sull’antisemitismo dei Quaderni neri a ridosso dell’uscita di un nuovo volume di tali quaderni, ha dichiarato: «Ci tenevo che il soggetto (l’antisemitismo di Heidegger) non arrivasse alla casa editrice dall’esterno, ma fosse trattato al nostro interno». Questa è dunque la strategia attuale: assicurarsi il monopolio di una sedicente critica in realtà sotto controllo. Se ormai si riconosce l’antisemitismo di Heidegger, che invece von Herrmann e Fédier persistono a negare contro ogni evidenza, lo si confina a «una decina di anni» (Trawny), cioè al periodo tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta, in cui secondo la nuova apologetica non ci sarebbe vicinanza di Heidegger al nazionalsocialismo. In breve, Heidegger sarebbe diventato antisemita quando non era più nazista.
Tale tesi problematica consente di disconoscere il carattere trivialmente nazista degli attacchi al «giudaismo mondiale» contenuti nei Quaderni neri, per elevarli all’altezza di tema «inscritto nella storia dell’Essere» (Trawny), sino a parlare di un «antisemitismo metafisico» (Di Cesare). Ma bisogna anche sostenere, come fa Trawny sempre nel suo intervento sul «Corriere», che il pensiero dell’Heidegger antisemita degli anni Trenta «non aveva più alcun nesso con le effettive vicende storiche», il che consente di decontestualizzare il suo antisemitismo.
In realtà, è vero il contrario. La lettura dei Quaderni neri ci rivela un Heidegger costantemente attento all’effettività storica, diplomatica e militare, come si nota dal fatto che è nel momento del patto tedesco-sovietico che egli pronuncia un elogio del popolo russo. Peraltro, la pubblicazione nel 1953 di un corso in cui egli vanta la «verità e grandezza» del movimento nazionalsocialista, così come il contenuto dei Quaderni neri degli anni 1942-1948 da poco disponibile (volume 97 dell’ Opera completa ), ci mostra come Heidegger non abbia mai chiuso con il nazismo, anche se negli anni Trenta lo ha superficialmente tacciato di essere «piccolo-borghese» e non abbastanza «barbaro».
Trawny, dissociando nazismo e antisemitismo in Heidegger, tende a rendere accettabili sia l’uno che l’altro. Non è la libertà di pensiero che in realtà si difende, né la libertà di espressione, che non è mai stata messa in discussione da qualsiasi critica al pensiero di Heidegger, bensì la libertà di «errare con Heidegger», come indica il titolo francese di un secondo saggio di Trawny pubblicato lo scorso anno, un testo nel quale si arriva a proporre Heidegger come «filosofo che ha salvato Auschwitz». Ebbene, concedersi oggi la libertà di partecipare all’«erranza» dell’autore dei Quaderni neri , significa concretamente accettare il suo antisemitismo come inscritto in una «storia dell’Essere» da cui è scartata qualsiasi idea di responsabilità morale. Allo stesso modo, nello stesso testo, Trawny respinge la forma argomentativa della filosofia. Cosa ci resterebbe dunque, se non i soli rapporti di forza e la barbarie? E cosa resterebbe del pensiero critico se la responsabilità umana e l’argomentazione filosofica ne fossero di colpo allontanate? Non ci ispira dunque fiducia il «Circolo Heidegger» con il quale la nuova apologetica heideggeriana intende gestire il pensiero critico, soprattutto leggendo che Trawny, nel suo intervento, continua a presentare Heidegger come paradigma del «grande filosofo». Con ben altra lucidità Hans Jonas, già a partire dagli anni Venti, aveva visto che l’insegnamento heideggeriano «non era una filosofia ma un affare segreto, pressoché una nuova credenza».
Quanto al nuovo campo di ricerche critiche internazionali che abbiamo costruito con Sidonie Kellerer, Johannes Fritsche, Richard Wolin, Julio Quesada, François Rastier, Livia Profeti, Gaëtan Pégny, Jocelyne Sfez, Édith Fuchs e molti altri, pensiamo che esso abbia molto da guadagnare nel rimanere libero, aperto a tutti, senza una rigida struttura istituzionale. Perché è di una filosofia libera e senza Scuola che abbiamo bisogno oggi.