di Pierluigi Piccini
Guarda un pò: il capo servizio della Nazione ha aspettato di pubblicare il mio articolo per potermi rispondere in diretta lo stesso giorno, la domenica, che risulta essere la giornata dei suoi editoriali. E allora continuiamo a dialogare a distanza non per convincere qualcuno, cosa impossibile perché i linguaggi sono così diversi che nascondono modi di interpretare gli accadimenti con riflessioni e conoscenze profondamente alternative. Prima considerazione: cosa c’entra il progetto scientifico con la vendita di un edificio? Se il progetto tecnico è considerato ottimale, perché la Fondazione Monte dei Paschi se ne estranea e vende? La Fondazione, che rappresenta la città nel suo complesso, e ci ricorda ripetutamente la sua vocazione culturale, dovrebbe se così fosse gestire l’opportunità che gli si presenta senza svenderla. In più l’ipotesi da me prospettata di collaborazione tra la Fondazione Monte dei Paschi e quella nuova del Santa Maria della Scala aiuta a far diventare quest’ultima un motore concreto dello sviluppo cittadino. Le garanzie, una volta venduto l’immobile, diventano di chi lo acquista: a nulla servono le eventuali clausole che si vorrebbero inserire negli atti di vendita. La tranquillità sull’operazione sarebbe assicurata dalle garanzie, a detta del capo servizio, che dovrebbero venire dall’Università? Bene! Ma ci sono atti ufficiali del Senato accademico nei quali si propone come garante dell’operazione di un privato, e se si in che termini? Tutto il resto non conta: i responsabili di oggi sono tutti a tempo determinato, mentre il patrimonio comune di una città ha tempi diversi, soprattutto quando si parla di edifici come il Palazzo del Capitano che appartengono alla storia più preziosa di Siena. Insomma, le garanzie fatte a voce in qualche riunione di chi sa chi, con chi sa chi, non servono. Poi francamente non si capisce cosa c’entri il futuro del Monte dei Paschi con l’operazione che vorrebbero portare avanti. Aumento di capitale? Mah! È necessario che, per operazioni del genere – ammesso che si possano fare – siano coinvolte entità finanziarie riconosciute e affidabili, che abbiano il consenso della Banca d’Italia e soprattutto della Bce. Ambedue sono particolarmente attente a verificare da chi provengono i denari e il Paese di origine, sapendo che il sistema di controllo è molto attento a non far entrare nell’Unione Europea soggetti che non siano di questa realtà economico-finanziaria. Ultima considerazione che il redattore dell’editoriale fa è su Bauman, citato a sostegno della tesi che il passato dovrebbe essere abbandonato per il futuro. Se ho ben capito, la citazione è esattamente il contrario di quello che il filosofo polacco sosteneva. Nella società liquida, dove si perde la memoria del passato per un eterno presente senza radici, è proprio il ricordo l’antidoto allo smarrimento della società contemporanea. Invece si ricorre al solito nuovismo superficiale, che tenta di dividere gli innovatori dai conservatori. Eppure il futuro non si costruisce con colpi a effetto per combattere la frustrante noia della ripetizione quotidiana ma attraverso conoscenze, professionalità e la responsabilità di una innovazione da perseguire, mantenendo un patrimonio comune senza compiere atti irreversibili.
Pino Di Blasio, il futuro inizia dalle scelte del presente CPZ3S5
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