Antonio Gramsci è l’eroe delle prossime elezioni francesi, l’ago della bilancia, il punto di non ritorno. Tutti lo citano, ne incorporano i concetti fondamentali – egemonia culturale, rivoluzione passiva… – “prima leggevamo Machiavelli, ora ci ispiriamo a Gramsci per ambire alle vette dell’arte politica”, scrive Claire Chartier in una inchiesta pubblicata su “L’Express”. Da Eric Zemmour a Jean-Luc Mélenchon e Marion Maréchal Le Pen, tutti si fanno vanto di aver studiato Gramsci e lo sventolano durante i comizi pubblici. “Potremmo parlare di ‘citomania’: chi ha letto davvero Gramsci tra i politici che lo citano ovunque? Il primo a citare con costanza Gramsci è stato Nicolas Sarkozy: l’ex presidente della Repubblica francese, in uno dei discorsi delle presidenziali del 2007 ha detto, ‘In fondo, ho seguito i dettami di Gramsci: il potere si conquista con le idee’. Per la prima volta un politico di destra si fa carico di questa battaglia”. Intervistato da “L’Express”, Jean-Yves Frétigné, storico presso l’Université de Rouen, allievo di Pierre Milza, ha curato per Gallimard una antologia dei Quaderni del carcere,in libreria dal 21 ottobre prossimo. Una specie di compendio che celebra l’importanza del pensatore politico in Francia; ed è un paradosso, forse una rivalsa, visto che proprio Gramsci stigmatizza nei Quaderni “l’influsso intellettuale della Francia” sull’Italia (“Ci siamo veramente liberati o lavoriamo effettivamente per liberarci dall’influsso francese?”) riconoscendo che “gli intellettuali francesi esprimono e rappresentano esplicitamente un compatto blocco nazionale, di cui sono gli ‘ambasciatori’ culturali…”. Questa egemonia francese si esercita, scrive Gramsci, anche attraverso “l’organizzazione libraria della produzione culturale”, assente in Italia.

Quaderni del carcere impongono uno spazio e un metodo. Intanto, il quaderno. La disciplina del pensare orizzontale, per occasioni e bagliori, al di là del delirio del ‘libro’; il destino degli ‘appunti’, delle idee concrete che si concretizzano in un linguaggio d’acciaio, assertivo, implacabile, semplice. Leggendo Gramsci – pensiero che si perfeziona scrivendo, palestra quotidiana per evitare di soccombere alla clausura, esercizio – mettiamo ordine nella nostra mente: non si studia Gramsci, si partecipa di un pensare. Questo lo rende, ancora, così seduttivo. Non è questione d’intelletto, si dirà, ma di intransigenza del sopravvivere: dunque sì, le idee, come petulava Sarkozy, ma tutto il contrario del mondo delle idee. Gramsci anatomizza l’immondo, l’uomo crudo, l’insano della politica – e rilancia, con asserzioni di agghiacciante nitore:

“Teoricamente lo Stato pare avere la sua base politico-sociale nella ‘piccola gente’ e negli intellettuali, ma in realtà la sua struttura rimane plutocratica e riesce impossibile rompere i legami col grande capitale finanziario: del resto è lo Stato stesso che diventa il più grande organismo plutocratico, l’holding delle grandi masse di risparmio dei piccoli capitalisti”.

Più interessante, piuttosto, capire come Gramsci sia diventato il pensatore di riferimento della destra francese. “Dagli anni Settanta l’offensiva della controrivoluzione conservatrice, che mostrava limiti e pericoli del comunismo, comincia ad aprire uno spazio. L’estrema destra, in particolare, adotta una disciplina gramsciana: negli anni Sessanta insisteva su atti di forza e interventi violentemente polemici. Poi ha compreso che era meglio voltarsi alle idee, come ha fatto il Groupement de recherches et d’études de la civilisation européenne (GRECE) di Alain de Benoist. La sinistra, invece, ha vissuto di rendita, non ha compreso il cambiamento, convinta di avere pieno dominio del campo intellettuale”, continua Frétigné. La sinistra francese, diversamente dalla destra, non ha compreso la profondità di Gramsci, “Gramsci non entrava nella loro casistica, nelle loro scuole, ribelle al marxismo imperante, un dissenziente, ciò spiega perché può essere citato con disinvoltura da diversi partiti politici. I comunisti francesi hanno un rapporto freddo, distante con Gramsci. Comprensibile, in parte, per il fatto che negli anni Sessanta Louis Althusser, il guardiano del tempio comunista, giudicava il gramscismo ‘non scientifico’”.

Quaderni sono asistematici, procedono per ‘occasioni’ – in un articolo, Gramsci parla della religione giapponese, dello shintoismo: “Amaterasu è una divinità come Osiride, o Apollo, o Artemide; è interessante che un popolo civile moderno come il giapponese, creda e adori una tale divinità” – tendono a esaurire lo scibile – da Balzac alla Cina, dal fordismo ai paradisi artificiali di Baudelaire a Ugo Foscolo “fonte della tradizione culturale retorica che vede nei monumenti un motivo di esaltazione delle glorie nazionali” – con affrettata nitidezza. Avvince, Gramsci, perché la sua è un’opera scritta sulla soglia della sopravvivenza, nella sola condizione intellettuale possibile: in uno spazio angusto, preda di un governo avverso, nella cella ampia come un morso. In quel ventre della balena, in prigionia, soltanto lì può esprimersi il pensatore che al superuomo, appunto, sostituisce l’uomo in gabbia, perciò indomito: la cella di Gramsci a Turi ha una analogia con il suo stile, è l’emblema della sua scrittura.

Quanto all’egemonia della scienza, per dire, Gramsci scriveva:

“Porre la scienza a base della vita, fare della scienza la concezione del mondo per eccellenza, quella che snebbia gli occhi da ogni illusione ideologica, che pone l’uomo dinanzi alla realtà così com’è, significa ricadere nel concetto che la filosofia della praxis abbia bisogno di sostegni filosofici all’infuori di se stessa. Ma in realtà anche la scienza è una superstruttura, una ideologia… La scienza, nonostante tutti gli sforzi degli scienziati, non si presenta mai come nuda nozione obiettiva: essa appare sempre rivestita da una ideologia e concretamente è scienza l’unione del fatto obbiettivo con un’ipotesi o un sistema d’ipotesi che superano il mero fatto obbiettivo”.

Che bilioso paradosso: i francesi gingillano Gramsci, ne fanno spillette, fanno i galletti con Gramsci, noi, politicamente spiumati, siamo ridotti a un dibattito civico raso terra, da pollaio.