Il volume A un anno dalla scomparsa esce oggi con il «Corriere della Sera» una raccolta di contributi del filosofo
di Antonio Carioti
Il progetto culturale de «la Lettura» sembrava cucito su misura per Giulio Giorello. La nostra esigenza di combinare il sapere umanistico e quello scientifico corrispondeva perfettamente al suo impegno assiduo per abbattere gli steccati tra i diversi ambiti della conoscenza, per esplorare a fondo i territori di confine, per mischiare le carte ogni volta che fosse possibile, richiamando le esperienze del passato e aprendo nuovi orizzonti per l’avvenire: lo testimonia ampiamente il ricchissimo catalogo della collana «Scienza e Idee», che il filosofo milanese dirigeva per l’editore Raffaello Cortina. Un altro punto fermo, nel programma de «la Lettura», era ed è l’intento di contaminare espressioni culturali elitarie e produzione per il consumo di massa. Chi meglio di Giorello poteva svolgere questo compito, con le sue molteplici passioni per il fumetto e per l’alta letteratura, per la fisica teorica e per la fantascienza, per Giacomo Leopardi e per Jesse James, per i pirati dei Caraibi e per i pensatori del Seicento?
Ne conseguì che, sin dal primo fascicolo, il supplemento culturale del «Corriere della Sera» lo utilizzò come le squadre di calcio impiegano i fantasisti di maggior talento. Una firma di rango che era perfettamente in grado di sparigliare il gioco, trovando sempre lo spunto per incuriosire il lettore o per cogliere nessi tra argomenti apparentemente distanti, con una versatilità più unica che rara. Come se non bastasse, per proseguire con la metafora calcistica, alle doti del fuoriclasse estroso Giulio sommava quelle del cursore instancabile, nel senso che era pronto ad accogliere ogni nostra proposta e si metteva al servizio de «la Lettura» con la massima disponibilità, per quanto gravosa fosse la richiesta della redazione in termini di spazi, tempi e complessità del lavoro. Era una stella che si prodigava con l’abnegazione di un gregario pur essendo già un filosofo di notevole prestigio, quindi senza avere nulla da dimostrare.
Per questo ci ha colpiti così dolorosamente la perdita di Giorello, scomparso il 15 giugno del 2020 poco dopo aver superato il Covid-19: il tampone risultava negativo, gli era stato concesso di tornare a casa dall’ospedale, era riapparso sulle pagine de «la Lettura» partecipando a un forum uscito sul numero del 7 giugno, ma la sua salute era uscita purtroppo minata dalla lotta contro il morbo. Rileggerne gli articoli e i dialoghi raccolti in questo volume rende ancora più vistoso il vuoto che Giulio ha lasciato sulle pagine del nostro supplemento e al tempo stesso mostra quanto preziosi fossero i suoi contributi. Sapeva intrattenere e divertire, con le dissertazioni su Topolino, Tex Willer e Mafalda, ma sempre soffermandosi sui risvolti filosofici dei fumetti. Gli piaceva giocare con la fantascienza, gli alieni, i viaggi nel tempo, il sogno di raggiungere l’immortalità attraverso i progressi della biogenetica. Provava un amore sconfinato per l’Irlanda, i suoi eminenti scrittori James Joyce e Jonathan Swift, la lunga e sanguinosa lotta per la libertà di quel popolo romantico e coraggioso. Si misurava volentieri con i miti, a partire dall’antichissima epopea mesopotamica di Gilgamesh, ma senza trascurare il vecchio West. Ripercorreva con passo sicuro i sentieri che collegano la matematica alla pittura e alla musica, così come la genetica e l’astrofisica alla letteratura, ma sapeva scovare anche intersezioni meno visibili tra il cinema e la biologia, tra Quentin Tarantino e Charles Darwin.
Colpisce che il suo contributo sul primo numero de «la Lettura», datato 13 novembre 2011, fosse dedicato a un tema che risulta di strettissima attualità dieci anni dopo: la «censura progressista» ansiosa di sanzionare, manipolare, mutilare opere del passato che presentano aspetti urtanti per l’acuta sensibilità odierna in fatto di rapporti tra i sessi o pregiudizi etnici. Giorello ovviamente era contrario, esercitava la sottile arte dell’ironia sul paternalismo autoritario di cui erano impregnate quelle pretese, divenute nel frattempo più frequenti e ossessive con il passare degli anni. Ancora più emblematico un intervento di poco successivo, favorevole all’allentamento dei vincoli sulla proprietà intellettuale, che s’inserisce a pennello nelle presenti polemiche in fatto di brevetti. Come non ricordare poi la difesa convinta della libertà di ricerca, compresa la sperimentazione sugli animali, che ritroviamo in diversi suoi articoli.
Di fronte a qualsiasi problema, tra la sicurezza e la libertà Giulio scommetteva invariabilmente sulla seconda, perché non c’è traguardo che si possa raggiungere senza correre dei rischi. Non credeva al «progresso senza avventure», convinto che ogni avanzamento comportasse una sfida, se necessario anche un azzardo. Diffidava dei divieti dall’alto, dei sistemi teoretici onnicomprensivi, dei determinismi (anche biologici), delle autorità sacerdotali, dei confini chiusi. Amava i trasgressori, i contrabbandieri, gli antiproibizionisti, gli eretici. Il suo libro di maggior successo, pubblicato da Raffaello Cortina nel 2005, s’intitolava appunto Di nessuna chiesa: non certo un pamphlet anticlericale, ma una pacata difesa del relativismo filosofico e delle acquisizioni scientifiche, all’epoca sotto attacco in nome dei «valori non negoziabili» e del creazionismo antidarwinista camuffato da «disegno intelligente». Lungi dal negare la dimensione spirituale dell’esistenza umana, come dimostra la sua consonanza con il cattolico Dario Antiseri e con il cardinale Carlo Maria Martini, Giorello ne avversava solo l’irrigidimento nel dogma Quindi non disprezzava affatto il sacro, i testi biblici, le credenze tradizionali, i saperi arcaici.
Il fatto è che Giorello non si sottraeva mai al confronto: gli piaceva esplorare universi nuovi, discutere punti di vista eccentrici. Noi ne approfittavamo per mandarlo a incontrare i personaggi più disparati. Nulla gli era più estraneo del sussiego da insigne cattedratico. Giulio ti dava subito del tu, con assoluta naturalezza. Il suo modo preferito di mettersi in relazione con gli altri era intorno al tavolo di un’osteria, davanti a un buon boccale di birra. Del resto tutti i ricordi di amici, colleghi ed estimatori raccolti in questo libro recano tracce significative della sua cifra umana ingenua e accattivante, della sua spontanea empatia. Per questo era necessario aggiungerli agli scritti dell’autore. Perché l’omaggio del «Corriere» non ne illustrasse solo la vivacità intellettuale, ma riflettesse anche la personalità squisita che ci rendeva Giulio Giorello straordinariamente caro e che ora acuisce la pena di non poter più contare sulla sua generosità, di non ascoltare più la sua voce.