Giovanni Sartori contro la «demagogia costituzionale»

Riforme Alcune considerazioni del politologo fiorentino sulla composizione delle Camere in un libro intervista del 1998 con il collega Leonardo Morlino

Come contributo al dibattito in vista del referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, in programma il 20 e il 21 settembre, proponiamo un estratto dal libro «Una occasione mancata? Intervista a Giovanni Sartori sulla riforma costituzionale», a cura di Leonardo Morlino, edito da Laterza nel 1998. Ringraziamo Isabella Gherardi Sartori e il professor Marco Valbruzzi, curatore dell’archivio Giovanni Sartori, per averci segnalato questo passo del colloquio dello stesso Sartori con il collega politologo Leonardo Morlino.

Cominciamo da un aspetto quantitativo. Un minor numero di parlamentari comporta una maggiore efficacia decisionale?

Non vedo perché. L’efficacia decisionale, riferita ai parlamentari, dipende da due fattori: la disciplina di voto (e quindi di partito), e una maggioranza adeguata e sufficiente di sostegno del governo. Se sussistono queste due condizioni mi sfugge la differenza tra, mettiamo, trecento e seicento deputati.

Ma allora perché da tutte le parti si chiede la riduzione dei parlamentari?

In parte credo che sia una richiesta-protesta. Una delle giustificazioni ufficiali è poi il risparmio: il nostro Parlamento, si dice, costa troppo. Ma questo risparmio, rispetto ad altri che non si fanno, è di entità miserabile. C’è anche un altro ordine di considerazioni.

Quale?

Tanto minore è il numero degli eletti, e tanto maggiore diventa il costo in voti. Se i deputati sono seicento, il costo in voti di ogni seggio è, mettiamo, di cinquantamila voti. Se i deputati scendono a trecento, ogni eletto costerà centomila voti.

Il vantaggio è che i partiti minori ne possono uscire decimati (ma lo stesso obiettivo può essere conseguito da una clausola di esclusione del 5-6%). Lo svantaggio è, o può essere, che il rapporto tra elettori ed eletti diventi sempre più diffuso ed evanescente. È quindi abbastanza buffo che la riduzione dei parlamentari appartenga al novero delle rivendicazioni «populistiche». Il vantaggio populistico proprio non lo vedo. (…)

Vedi una caratteristica particolare nella demagogia delle democrazie di oggi? Cioè, secondo te, oggi le democrazie sono costrette alla demagogia?

Prima la demagogia si riscontrava soprattutto nelle campagne elettorali. Ora si è trasferita anche sul terreno delle riforme costituzionali. Si invoca l’elezione diretta del presidente e del premier, si apre la Corte costituzionale a tutti i cittadini, si estende la competenza del referendum (anche se viene elevata la soglia di proponibilità), e via di questo passo. Può benissimo darsi che tra queste proposte alcune siano buone. Le mie riserve vertono sul perché siano presentate: un perché che non viene quasi mai sostenuto da buone ragioni. Una riforma si fa, o viene proposta, semplicemente perché è popolare. Ma, quando è così, è demagogia. E la demagogia costituzionale è sicuro che produce pessime costituzioni.

 

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