Andrea Cortellessa
I due componimenti pubblicati in questa pagina, scritti in francese e offerti nella prestigiosa traduzione di Valerio Magrelli, sono un minimo specimen dal corpus poetico di Giorgio de Chirico, per la prima volta riunito in un unico volume in uscita la prossima settimana (insieme a una nuova edizione delle celebrate Memorie della mia vita, prefazione di Paolo Picozza, introduzioni di Franco Cordelli e di Elisabetta Sgarbi, pagg. 432 + XVI tavole, € 17) da La nave di Teseo: che vara così, sotto l’egida della Fondazione che porta il suo nome, una collana dedicata ai «libri di Giorgio de Chirico».
I libri sono stati decisivi nella formazione – fra la Grecia nativa, la Monaco di Baviera degli studi e la Parigi della prima maturità – dei fratelli de Chirico, Giorgio e Andrea (in seguito Alberto Savinio); e mentre il secondo, abbandonata la carriera musicale, si dedicò prima alla scrittura e solo in seguito alla pittura, quello che si ribattezzerà Pictor Optimus non parrebbe invece mai aver avuto dubbi, circa la sua vocazione. Eppure prima ancora di esporre per la prima volta, già attorno al 1911, anche Giorgio scrive; i suoi primi testi anzi, conservati dai discepoli surrealisti (che in seguito lo disconosceranno), sono la base della teoria «metafisica» (che in Italia si diffonde solo dopo che de Chirico nel ’15, lì saggiamente imboscato, incontra nella clinica per malattie nervose di Villa del Seminario, presso Ferrara, Carlo Carrà e Filippo de Pisis). Ma la sua scrittura, quando non voglia farsi prescrittiva (o viceversa calzare un coturno fin troppo riconoscibile), è eccezionale proprio per la sua indeterminazione discorsiva, tra la riflessione teorico-filosofica, il flash autobiografico e la libera invenzione lirica; spesso alludendo ai quadri coevi, se non addirittura integrando disegni che funzionano da ingranaggi del «meccanismo del pensiero» – come de Chirico definiva il suo.
I capolavori sono in prosa: il romanzo (se così si può definire) Ebdòmero, scritto in francese nel ’29 e autotradotto nel ’42, ma anche due brevi prose del ’28 riprese per la prima volta nella Casa del poeta, forse chiavi dei suoi enigmi più impenetrabili (oltre a letterariamente sfidare i surrealisti sul loro stesso terreno). Eppure l’icona mitica del Poeta rappresentava, per de Chirico, una tentazione irresistibile. Una prima volta tenta invano di imporsi, all’avanguardia dada e futurista fra il ’16 e il ’18; una decina d’anni dopo è di nuovo visitato da questa ambizione, e scrive in preda a una misteriosa urgenza decine di poesie su un misterioso Quaderno scoperto da pochi anni, in questa occasione davvero leggibile per la prima volta. È in queste pagine convulse che si trova Italia (per paradosso scritta a sua volta in francese), che mette a tema la travagliata identità «di nostalgia» (come definiva la sua Ungaretti, nato a sua volta all’estero); mentre Ricordo d’infanzia, uscito su una rivista belga nel ’29, è davvero un conturbante impromptu “metafisico”, un’inopinata apertura di sipario: alla maniera di Schopenhauer, è quello della vita sconosciuta del mondo lo spettacolo di cui il Pictor Optimus ci squarcia, solo per un istante, un lembo tanto minimo quanto folgorante.
La casa del poeta
Giorgio de Chirico
a cura di Andrea Cortellessa, premessa di Paolo Picozza, trad. dell’autore e di Valerio Magrelli, La Nave di Teseo, Milano, pagg. 400, € 20