Giammarioli (Mes) “Se l’Italia userà quel Fondo né clausole né austerity”

Alberto D’Argenio
BRUXELLES — Le nuove linee di credito del Meccanismo europeo di stabilità, oggetto di aspro confronto tra i partiti in Italia, «non hanno nulla a che vedere con i prestiti del passato: non portano a condizionalità ex post, austerity o ristrutturazione del debito». Dal settembre 2019 Nicola Giammarioli è segretario generale del Mes, il numero due dell’istituzione guidata dal tedesco Klaus Regling. Con questa intervista a Repubblica Giammarioli non intende sconfinare nel «sacrosanto e legittimo» dibattito democratico. Al più si propone di fornire elementi tecnici per aiutare politici e opinione pubblica a chiarire i dubbi relativi alle linee di credito pandemiche lanciate a maggio dai ministri della zona euro.
L’Italia potrebbe chiedere al Mes fino a 36 miliardi per coprire le spese sanitarie legate al Covid-19: a che tasso di interesse potrebbe ottenerle?
«Alle attuali condizioni di mercato, i tassi di interesse sono negativi. Quindi non solo l’Italia non pagherebbe alcun costo aggiuntivo, ma si troverebbe a rimborsare una cifra inferiore a quella ricevuta».
Il governo quanto risparmierebbe rispetto all’emissione di un uguale ammontare di Btp?
«Oggi l’Italia risparmierebbe 500 milioni all’anno, ovvero 5 miliardi nei 10 anni coperti dalle nostre linee di credito. Sono soldi che potrebbero essere impiegati per finanziare altre politiche a beneficio dei cittadini».
Per diversi politici italiani, questi risparmi verrebbero bruciati dallo stigma, ovvero dal crollo di reputazione sui mercati causato dall’accesso al Mes che farebbe salire lo spread causando più danni che benefici.
«Secondo le nostre analisi, che derivano anche dalle discussioni con gli investitori, l’accesso alla nostra nuova linea di credito non provocherebbe alcuno stigma, non ci sarebbero danni di fiducia sui mercati. Non si tratta di un salvataggio come quelli del passato, non è un soccorso lanciato durante una crisi finanziaria o per rimediare a scelte sbagliate di un governo. Si tratta di una linea di credito studiata per rispondere alla pandemia, fenomeno del quale nessuno ha colpa».
Come fa ad essere certo che non ci saranno contraccolpi?
«Lo sappiamo dai nostri contatti quotidiani con gli operatori dei mercati finanziari. Gli investitori in titoli di Stato sanno bene che i loro prestiti sono più sicuri se i pagamenti del servizio del debito di un Paese diminuiscono anche grazie al fatto che i prestiti del Mes sono molto vantaggiosi. Lo abbiamo visto quando si è diffusa la notizia che Cipro stava considerando il ricorso al Mes: il suo spread è calato perché gli investitori vedono di buon occhio l’arsenale messo in campo dall’Unione europea e il fatto che un governo vi acceda.
Quando parlo di 5 miliardi, mi riferisco solo ai benefici diretti derivanti dall’attivazione del Mes. Ci sono anche risparmi indiretti, dati proprio dal favore con il quale i mercati accolgono l’utilizzo della linea di credito pandemica che si riverbera sui titoli di Stato con la riduzione del differenziale sul Bund: il debito diventa meno costoso con un significativo beneficio finanziario».
Se non c’è rischio stigma, perché nessun governo ha ancora presentato domanda formale per l’attivazione della linea di credito?
«Ogni paese fa le sue considerazioni politiche e finanziarie, non sta a me entrare nel dibattito democratico delle singole nazioni. Le capitali hanno bisogno di tempo per capire come impiegare i soldi, per valutarne la convenienza in quanto la nostra linea di credito è vantaggiosa per alcuni paesi e neutra per quelli che hanno già accesso al mercato a tassi negativi. Il dibattito è in corso e a un certo punto le capitali avranno le idee più chiare e attiveranno il Mes».
Con i soldi si possono coprire i costi sanitari diretti e indiretti legati al Covid: quanto è estesa questa definizione?
«Si tratta di una possibilità di impiego molto vasta che, ad esempio, va dai vaccini alla ricerca passando per la riorganizzazione della sanità e la ristrutturazione degli ospedali, ai contributi per le case di riposo fino ad un ammodernamento del sistema sanitario sul territorio e dei medici di base».
Il Mes potrà imporre condizionalità, riforme, aggiustamenti macroeconomici o ristrutturazioni del debito ex post?
«No, dobbiamo essere molto chiari: con le nuove linee di credito il Meccanismo non può imporre alcun genere di condizionalità ex post, austerity, troika, taglio delle pensioni o del settore pubblico. Siamo in un altro campo da gioco rispetto al passato: l’unica condizione da soddisfare è che i soldi siano usati per la sanità».
Alcuni protagonisti del dibattito politico puntano il dito contro il fatto che il Mes sia un creditore senior: è un rischio per chi vi accede? Può rendere più facile il default?
«La seniority è un pilastro della nostra struttura finanziaria e significa che quando i prestiti arrivano a maturità devono essere ripagati prima degli altri.
Circostanza che sui mercati non è vissuta come un problema.
Anzi, si traduce in un vantaggio perché ci permette di finanziarci a tassi negativi».
Però se un Paese accede alla linea di credito scatta un meccanismo di early warning…
«Si tratta di un semplice strumento di management interno per determinare la capacità dei paesi di ripagare i prestiti. È utilizzato anche dai grandi investitori internazionali che comprano i titoli di Stato dei singoli paesi, come le banche: non ha alcuna conseguenza in termini di austerità o stabilità finanziaria di una nazione».
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