Gennaro Sasso, Croce e le letterature e altri saggi

In questo suo ultimo lavoro su Benedetto Croce, Gennaro Sasso raccoglie tre saggi, di cui il primo (Croce e le letterature, pp. 11-160) è inedito per la forma in cui compare in questo libro, essendo molto più ampio rispetto alla versione già pubblicata due anni fa in un volume dell’Enciclopedia italiana, mentre il secondo (Su alcune questioni e difficoltà idealistiche, pp. 161-205) e il terzo (Intorno alla Politica ‘in nuce’, pp. 207-240) sono già stati pubblicati sulla rivista «La Cultura», rispettivamente nel 2018 e nel 2006.

Nei saggi qui raccolti Sasso viene da un lato a delineare con maggior precisione e ampiezza di orizzonte una tesi da lui presentata, nella sua linea essenziale, per la prima volta in un saggio di diversi anni fa a riguardo della lettura proposta da Gianfranco Contini dell’opera di Croce, mentre da un altro lato torna a insistere su almeno tre caratteristiche tipiche del suo peculiarissimo modo di esaminare la produzione del pensatore napoletano. La tesi interpretativa che acquista in queste pagine la sua forma più compiuta, vero e proprio fil rouge di tutto il lungo saggio iniziale sul quale Sasso si sofferma anche nella breve Prefazione, riguarda il nesso sussistente tra i saggi crociani dedicati all’esame delle più svariate letterature e quelli inerenti la storiografia politico-civile, oltre alla forte presenza di atteggiamenti etici e politici nei giudizi dati da Croce sui moltissimi scrittori e poeti da lui indagati, con la conseguenza che in alcuni casi i saggi letterari di Croce assumono le sembianze di alcuni ‘frammenti di etica’: «l’affermazione che l’arte è autonoma dalla vita morale come dal pensiero, e non sottostà né all’una né all’altra, si combinò con una disposizione della sua critica ad assumere la forma del saggio morale» (p. 22). Bisogna inoltre tenere presente che lo stesso Sasso evidenzia come questo libro – in particolar modo, direi, il primo e il terzo contributo –, debba essere letto in connessione con l’altro da lui recentemente pubblicato su Croce. Storia d’Italia e Storia d’Europa (Bibliopolis, Napoli 2017), in cui, oltre a ripubblicare il suo libro del 1979 sulla Storia d’Italia, raccoglie anche tre saggi recenti sulla Storia d’Italia, sulla Storia d’Europa e sul rapporto tra Croce e Giovanni Gentile, facendoli tutti precedere da un ampio saggio introduttivo dedicato all’illustrazione degli atteggiamenti avuti da Croce verso il fascismo e in particolar modo all’esame del significato che la celebre espressione crociana, secondo cui il fascismo sarebbe stato una ‘parentesi’ nella storia della vita nazionale della penisola, possiede nei luoghi e nei contesti specifici in cui compare.

Le tre caratteristiche ‘tipiche’ a cui ho alluso circolano in tutti e tre i saggi del volume, e potrebbero essere così rapidamente schematizzate: la prima, e più generale, riguarda la necessità per Sasso di studiare l’opera di Croce nella sua ‘totalità’, ossia secondo quel ponere totum a cui lui si riferisce in moltissime occasioni – e, per la verità, a riguardo di ogni autore a cui abbia dedicato una specifica ricerca, si tratti di Croce, di Gentile, di Carlo Antoni, di Federico Chabod e dei molti altri su cui la sua attenzione è venuta a cadere (a tale riguardo bisogna tenere anche in considerazione i suoi moltissimi studi su Machiavelli e Dante, che mi sembra riproducono questo suo medesimo atteggiamento). La seconda caratteristica riguarda il suo considerare l’opera di Croce in primo luogo come opera di un filosofo, ossia tenendo sempre bene in vista le ‘categorie’ che agiscono, esplicitamente o meno, in riferimento ai vari temi da Croce di volta in volta trattati. La terza riguarda infine la sua convinzione che la personalità di Croce sia altamente tragica, come testimonia eloquentemente il secondo capitolo del Contributo alla critica di me stesso – e in modo emblematico l’ultimo capoverso di questo capitolo, oltre all’«uscir fuori dalle tenebre» e all’«angoscia acuta», poi diventata «cronica», delle pagine conclusive –; testo terminato da Croce l’8 aprile 1915, «mentre rugge intorno la guerra», rivisto alla fine di maggio ma pubblicato soltanto nel giugno del 1918, «inizio felice della riscossa» (B. Croce, Il nostro dovere presente [26 giugno 1918], in L’Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra, ed. naz. a cura di C. Nitsch, Bibliopolis, Napoli 2018, p. 244; per quanto riguarda le informazioni inerenti il Contributo, cfr. la Nota del curatore in Ivi, pp. 363-364).

Grazie alla prima di queste tre caratteristiche, Sasso mostra quanto sia produttivo mettere a confronto gli scritti crociani di critica letteraria con quelli politico-civili, tanto per intendere più concretamente molte notazioni di Croce in merito a questo scrittore o a quel poeta, quanto per comprendere con maggiore profondità la pervasività e ampiezza delle sue prese di posizioni etiche e politiche, che mostrano come le idee che Croce iniziò a teorizzare e a esprimere nelle Pagine sulla guerra (e poi, con maggiore sistematicità, dal 1924 in poi), avessero già manifestato il proprio volto anni prima, per esempio parlando del ‘dilettante di sensazioni’ nell’importante saggio del 1903 su Gabriele D’Annunzio – cfr. p. 70 per il nesso sottolineato da Sasso tra Poesia e non poesia, la Storia d’Italia dal 1871 al 1915 e la Storia d’Europa nel secolo decimonono. La linea generale della lettura di Sasso, è che Croce avrebbe iniziato a manifestare quelle che, a partire dalle pagine scritte durante il primo conflitto mondiale a proposito della guerra e poi successivamente negli anni del fascismo, sarebbero diventate le proprie posizioni più specificamente politiche, già dai primi anni del XX secolo, denunciando il vario e multiforme ‘irrazionalismo’, ‘decadentismo’ e ‘sensualismo’ di cui vedeva le espressioni soprattutto nelle pagine di romanzi e poesie, atteggiamenti che poi si riversarono successivamente nelle strade e nelle piazze delle città – sebbene, deve essere aggiunto, una cosa sia la «condanna culturale», un’altra la «condanna politica»,  per quanto alcune motivazioni della seconda possano essere ravvisate già nella prima (cfr. p. 209). In ogni caso, Sasso è molto chiaro in proposito: «Insistere sugli aspetti eticizzanti dei giudizi estetici formulati da Croce è infatti importante, sia per quel che rivela delle complicazioni che la discriminazione della poesia dalla non poesia introduceva nell’esercizio concreto della critica, il cui oggetto precipuo era indicato e riconosciuto, non nella poesia, ma nel suo antecedente sentimentale, sia perché, in generale, vi si esprimevano in forma compiuta il razionalismo, storico bensì ma razionalismo, e l’antidecadentismo che costituiscono il tratto dominante della sua interpretazione del mondo moderno e della sua crisi» (p. 42).

Per quanto riguarda la prima notazione sopra effettuata per la delineazione del primo punto inerente l’atteggiamento esegetico di Sasso, si può fare riferimento al caso forse più emblematico che possa essere ricavato dalle pagine di questo libro, ossia le prese di posizione crociane su D’Annunzio – «nel 1903 Croce aveva visto in D’Annunzio un dilettante di sensazioni, definendo per contrasto sé stesso e il suo modo di essere nel presente, e prendendo le distanze da un atteggiamento spirituale che, lungo l’intero corso della sua vita, avrebbe costituito l’oggetto della sua critica in ciascuna delle forme che via via aveva assunte nella cultura europea» (p. 160) –, oltre a varie notazioni su Fogazzaro, Pascoli, Mallarmé, Flaubert, Baudelaire, Foscolo, Stendhal, Carducci – «Non furono, infatti, ragioni in primo luogo estetiche quelle che lo mossero a scrivere su di lui [Carducci]. Quando, fra il 1909 e il 1910, decise di consacrargli un saggio, la scena letteraria era più che mai occupata da D’Annunzio che, in quegli anni stava mettendo al mondo le cose sue meno pregevoli e politicamente, se questo avverbio sia preso in senso estensivo, più pericolose. A dare segno di sé erano le tendenze culturali che, nominandosi come decadentismo, sensualismo, culto della forza, imperialismo e simili, già allora costituivano, per Croce, oggetto di preoccupazione e di decisa detestazione» (p. 46) – ma anche su Ariosto, Shakespeare, Corneille e soprattutto su Goethe: «com’era accaduto nel 1917 nei giorni angosciosi di Caporetto, anche in quelli senza speranze del secondo conflitto mondiale egli avvertì la necessità di purificare la lingua tedesca, che sinistramente sentiva risuonare intorno a sé, con quella di Goethe, che allora riprese a leggere e a studiare, aggiungendo un volume a quello pubblicato nel 1918» (pp. 112-113, cfr. anche pp. 126-128). Per quanto riguarda invece il secondo aspetto evocato, può bastare richiamare il passo (scritto nel settembre del 1919) dedicato da Croce a Corneille – in cui Croce, precisando il senso della «volontà deliberante» da lui attribuita a Corneille, respingeva l’interpretazione datane da «taluni interpreti» come di una «volontà pura» identificata a una «volontà di potenza», in quanto «l’ideale della volontà di potenza ha origini affatto moderne, nel superuomo protoromantico e romantico, nell’individualismo esasperato ed astratto, e non viveva né ai tempi del Corneille né nel cuore di lui, che era assai sano e semplice» (B. Croce, Ariosto, Shakespeare e Corneille, Laterza, Bari 1929, 2a. ed., p. 225) –, da Sasso sottolineato in quanto contenente «una delle chiavi idonee, non solo ad aprire lo scrigno in cui erano contenuti i pensieri del Corneille, ma anche per penetrare in quello di Croce che, quanto fu tardo nel prendere partito di netta opposizione nei confronti di quel che allora si preparava di eversivo delle libere istituzioni e a dare un preciso indirizzo alla sua volontà, altrettanto, come si vede, fu precoce nel diagnosticare il clima morboso che allora rivelò le sue distruttive potenzialità, e nell’avversarlo nei pensieri che lo preparavano» (p. 100). A proposito di questo punto può anche essere richiamata la grande importanza attribuita da Sasso, in più occasioni, allo scritto del 1907, Di un carattere della più recente letteratura italiana, in cui Croce, parlando di D’Annunzio, Fogazzaro e Pascoli, al di sotto delle parole «individuava la nota reazionaria, il rifiuto della Rivoluzione francese e del socialismo e di tutto ciò che, per logica conseguenza, ne scaturiva; e nell’atto in cui ne dichiarava la povertà culturale, metteva in guardia contro il pericolo che la diffusione di quelle idee recava con sé» (G. Sasso, Tramonto di un mito. L’idea di «progresso» tra Ottocento e Novecento, il Mulino, Bologna 1988, 2a. ed., p. 108; cfr. anche Croce. Storia d’Italia e Storia d’Europa, cit., pp. 106-108, 141-143, 216 n. 59).

In merito alla seconda caratteristica sopra richiamata, il secondo saggio presente nel volume arreca un contributo significativo, nel quale emergere anche in primo piano quanto forte sia il legame presente nella riflessione di Sasso tra le svariate analisi da lui dedicate ai filosofi dell’idealismo italiano e la sua più personale posizione filosofica. Se non è questa la sede in cui si possano prendere in considerazione le pagine, strettamente teoretiche, che compongono questo saggio – suddiviso in due parti, la prima delle quali intitolata «Sul nesso dei distinti», la seconda «Categorie come potenze del fare e come predicati di giudizi» –, riguardanti non solo Croce ma anche Gentile e Hegel, è opportuno segnalare, per cogliere la peculiare prospettiva interpretativa di Sasso, come nel breve paragrafo di «passaggio» tra la prima e la seconda parte del saggio Sasso richiami il celebre motto fatto proprio anche da Aby Warburg, secondo cui Gott ist im Detail, e sottolinei giustamente che «se Dio sta nei particolari» allora «in ogni particolare sta Dio», di modo che se «con questo nome si indica non una divinità, ma la filosofia e questa sia intesa come una filosofia dello spirito, allora non c’è questione particolare che non implichi il tutto e non sia il tutto» (pp. 191-192). Questo è il motivo per cui di Croce, come di ogni filosofo, non se ne possono capire le varie ‘parti’ che compongono l’intero quadro senza aver presente, per l’appunto, il quadro in cui quelle compaiono, ossia l’orizzonte categoriale che innerva di sé ogni angolo in esso presente (come Sasso già sottolineava nelle prime pagine del suo gigantesco libro su Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Morano, Napoli 1975, pp. 9-10, 11, 19); oltre al fatto che, per intendere un filosofo, qualunque esso sia, è in primo luogo alla filosofia che bisogna rivolgere la propria attenzione.

Infine, accennando qui alla terza ‘caratteristica’ che si è creduto di ricavare dalla lettura offerta da Sasso del pensiero e della figura di Croce, le pagine forse più interessanti che si trovano in questo libro sono dedicate ai giudizi riservati da Croce a Leopardi – particolarmente quello riguardante la ‘vita strozzata’ –, da Sasso letti e interpretati come essenzialmente ‘autobiografici’ e recanti in sé, paradossalmente, un forte senso di disagio per il pessimismo cosmico leopardiano che lo stesso Croce sentiva come proprio e, per questo motivo, tentava disperatamente di allontanare per non precipitare in esso: «Croce […] risolse la sofferenza nell’opera, con questa e in questa rasserenò il suo spirito. Ricercò, non la felicità, ma l’attività, non il piacere, che presto si rovescia nel dolore, ma il lavoro che dà l’unico piacere che sia degno del nome» (p. 56).

Senza che si sia potuto anche solo accennare a molte altre questioni presenti nel corpo del testo – come quella, centrale nel pensiero crociano, tra poesia e struttura o quella inerente la teoria dello Stato presente nella Politica ‘in nuce’ e il richiamo di Croce agli uomini del dubbio, a chi thinks too much e prospetta oltre il mondo utilitario della politica quello universale dell’etica, su entrambe le quali Sasso si sofferma molto, facendo anche emergere in merito alla prima questione la propria personale prospettiva – si è soltanto inteso, in queste brevissime considerazioni, sottolineare quanto sia denso e variegato il materiale presente in questo libro di Gennaro Sasso.

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