Forse lo sanno forse no forse preferiscono non pensarci, ma i dirigenti dei partiti e i parlamentari hanno molte gatte da pelare di qui alle elezioni politiche del marzo 2023, se arriveranno fino ad allora. Tralasciando le elezioni amministrative, la vera svolta potrebbe/potrà essere l’elezione presidenziale. Anche se Stefano Feltri ha argomentato le ragioni che consigliano l’elezione di Mario Draghi alla presidenza della Repubblica, magari in seguito ad una convincente designazione ad opera del segretario del Pd, è possibile che si pervenga ad uno stallo parlamentare.
Se, oltre che prolungato, lo stallo sarà caratterizzato da qualche mercanteggiamento improprio, la richiesta dell’elezione popolare diretta del presidente della Repubblica italiana è destinata a tornare sulla scena politico-costituzionale.
Tradizionalmente, poiché, per lo più si dimentica che in Assemblea Costituente Piero Calamandrei propose una Repubblica presidenziale accompagnata da una solida rete di poteri locali, il presidenzialismo è associato con la destra. In questi anni, anche Silvio Berlusconi ha genericamente parlato di presidenzialismo, rivelando, fra l’altro, di non conoscere i guasti del governo diviso Usa-style.
Fra i politici e i giornalisti nostrani si è raramente manifestata una chiara distinzione concernente il presidenzialismo americano messo a confronto con il semipresidenzialismo francese. La stessa Meloni, intervenendo al Forum Ambrosetti a Cernobbio, dopo avere affermato che «il parlamentarismo all’italiana è diventato un pantano», e che per questo «bisogna uscire dalla Repubblica parlamentare. Io sono per un sistema presidenziale», ha sentito di dover precisare che «c’è una proposta di Fdi sul semipresidenzialismo alla francese».
La “bestiolina” di Meloni è l’unico sostegno a Michetti
MODELLO FRANCESE
Non so a quale stadio si trovi la proposta di Fratelli d’Italia, ma certamente chi volesse uscire dal sistema parlamentare all’italiana, non sempre un pantano e migliorabile anche dall’interno, potrebbe opportunamente guardare alla Quinta Repubblica francese.
La Quarta Repubblica fu il sistema politico-parlamentare più simile alla Repubblica italiana e l’allora unica Costituzione alla quale guardarono i Costituenti italiani.
Nel contesto francese, fortemente voluta da De Gaulle, la Quinta Repubblica produsse un salto qualitativo. Fu e rimane accompagnata da un sistema elettorale maggioritario a doppio turno in collegi uninominali che ha ridimensionato il ruolo dei partiti, come desiderava De Gaulle, e messo al centro della rappresentanza politica i candidati, rarissimamente paracadutati, che diventano rappresentanti premurosi dei collegi nei quali vengono eletti.
Non so quanto Meloni vorrà puntare sulla sua proposta e sulla riforma elettorale adottando la legge francese. Se le circostanze le consentiranno di procedere in tal senso, mi limito a sottolineare due elementi sistemici positivi che comportano un rischio per il partito di Giorgia Meloni.
Il primo elemento positivo è che l’elezione popolare diretta del presidente della Repubblica implica la ristrutturazione bipolare di quel che resta del sistema partitico italiano. Dunque, dovrebbe essere sostenuta da tutti i bipolaristi del nostro stivale.
Il secondo elemento, più visibilmente nei collegi uninominali, ma anche per l’elezione presidenziale, è che è necessario, quasi indispensabile costruire coalizioni prima del voto. Il rischio per Fratelli d’Italia è lo stesso che corre Marine Le Pen in Francia e che la ridimensiona costantemente. Al secondo turno i partiti estremi e le loro candidature vengono penalizzate dagli elettori.
Lo scombussolamento successivo al mutamento del modello italiano di governo potrebbe, però, essere accompagnato dalla mitigazione di tutti gli estremisti. E sarebbe un bene.