di Lorenzo Tecleme
La tesi attorno a cui ruota il suo saggio – anche criticata nel mondo ecologista – è che sia troppo tardi per fermare il riscaldamento globale, e che dovremmo smettere di concentrare tutte le nostre energie su una battaglia già persa. Da dove nasce una convinzione così drastica?
«Va sottolineato che il libro ( E se smettessimo di fingere , n.d.r.) è un saggio, non un manifesto: non dico come si dovrebbe agire. Scrivo per chi ammette che trent’anni di lotta contro il riscaldamento globale non sono serviti a niente e che adesso è troppo tardi per evitare un aumento destabilizzante della temperatura globale. Credo che molti ormai lo riconoscano e, da saggista, ho il compito di dar voce a quello che le persone pensano in privato e temono di dire in pubblico. Il mio messaggio a queste persone è: non siete sole. Volevo anche fare una riflessione sul senso che ha lo sperare in un momento in cui il mondo è destinato a diventare meno vivibile.
Sperare di poter evitare la catastrofe climatica è ammirevole, ma la scienza ci mostra che questo genere di speranza è ormai irrealistica. Non significa che la lotta alle emissioni di CO 2 vada abbandonata, ma è altrettanto importante prepararsi ai numerosi shock che verranno.
Finché continueremo a fingere di essere in grado di “risolvere” il problema del clima, correrremo il rischio di trascurare minacce più immediate all’ambiente e all’ordine sociale».
È vero, un certo aumento delle temperature è ormai inevitabile, e dobbiamo prepararci ad affrontarne le conseguenze. Ma tra un mondo a +2°C, uno a +4°C e uno a +6°C c’è un abisso. La lotta per evitare i peggiori scenari non basta a giustificare la centralità che la questione climatica ha assunto nel dibattito pubblico?
«Il clima merita di essere centrale. Ma è ormai tempo di includere nel dibattito l’inevitabilità delle catastrofi: dobbiamo parlare di più di come prepararci ad affrontarle e meno di una battaglia persa. È vero che c’è una grande differenza da 2 a 6 gradi. Sfortunatamente il rapporto tra la nostra azione per il clima oggi e quella che sarà la temperatura tra 50 anni non è lineare. Esistono valide ragioni per temere che si arrivi a un punto critico, forse attorno ai 2 gradi, superato il quale le emissioni dirette di carbonio avranno meno peso rispetto ai processi che abbiamo innescato: scioglimento dei ghiacci polari, rilascio di grandi quantità di metano artico, acidificazione degli oceani, deforestazione accelerata da incendi incontrollabili. È ancora importante ridurre drasticamente le emissioni nella speranza di ritardare il raggiungimento del punto critico e di avere più tempo per prepararci. Ma temo proprio che raggiungere o meno il traguardo di emissioni zero in un Paese europeo nel 2030 non avrà nessun effetto apprezzabile sul mondo del 2070».
Nel saggio ha scritto che “ogni movimento verso una società più giusta e civile può essere considerato un’azione significativa per il clima”. La convince il Green New Deal di Ocasio-Cortez e della sinistra dem?
Anche loro parlano di abbattere le emissioni mentre si crea lavoro, si ridistribuisce ricchezza, si appianano le disuguaglianze etniche e di genere.
«La visione di una società più equa e più umana è ovviamente giusta, vorrei solo che non fosse accoppiata alla retorica del “non è troppo tardi per fermare il cambiamento climatico”. Non conosco il Green New Deal nei dettagli, ma penso che necessiti su cospicui investimenti per le linee ferroviarie ad alta velocità. Sono investimenti che creerebbero molti posti di lavoro ma non servirebbero a nulla per “salvare il pianeta”. In California, dove vivo, è in programma la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità tra San Francisco e Los Angeles da decine di miliardi di dollari. Ma ora come ora quelle decine di miliardi di dollari vanno investite nella gestione degli incendi e nell’edilizia urbana».
Non ha paura che le sue idee vengano strumentalizzate dal mondo negazionista?
«Abbiamo provato per 30 anni a usare i sensi di colpa e le paure per motivare l’opinione pubblica a intraprendere serie iniziative sul clima. La gente ha continuato a comportarsi come sempre: guidare gosse auto, costruire grandi case, comprare prodotti cinesi a buon mercato.
Non vedo come un solo saggio di un romanziere possa peggiorare le cose. E che senso ha mentire alla gente? La gente comune è molto più intelligente di come la giudicano gli attivisti per il clima: sa riconoscere le bugie.
La conseguenza è che, almeno negli Usa, il clima si è ridotto a poco più di un “football politico”, una gara tra attivisti dalle opinioni “basate su dati scientifici” e negazionisti finanziati dalle grandi imprese. Questo ha messo gli attivisti nella scomoda posizione di negare, a loro volta, quello che dice la scienza riguardo alle catastrofi imminenti. È un pasticcio, perché, mentre gli attivisti e i negazionisti combattono a livello politico, non riusciamo ad avere dibattiti pubblici sulle minacce immediate».
Ha scritto: “Non abbiamo agito negli ultimi trent’anni, perché dovremmo farlo negli ultimi dieci?”.
Ma il movimento per il clima e la maggiore attenzione al tema, non le da un po’ di speranza in più?
«Forse una debole speranza in un minimo cambiamento.
Nel contesto globale, però, l’azione di poche democrazie europee non ha grande peso. E ci siamo già passati.
Quindici anni fa l’Ue stabilì ambiziosi mandati specifici per ridurre le emissioni di CO2. Poi venne la recessione del 2009 e i mandati vennero, in sordina, rettificati.
L’economia globale si fonda ancora in massima parte sulla CO2 e l’inversione di rotta deve essere immediata. È difficile che questo accada a livello globale senza provocare terribili conseguenze economiche, che comporteranno terribili conseguenze politiche. Questo ci ha insegnato il 2009 in Europa».
Come apparirebbe un’associazione ambientalista che “smette di fingere”?
«Somiglierebbe molto a Extinction Rebellion, un gruppo che ammiro. XR (questa la sigla) sostiene la necessità di sottrarsi radicalmente alla dipendenza dal carbonio ma si concentra anche sulla crisi globale nella sfera della biodiversità: non serve “salvare il pianeta” dal disastro climatico se nel frattempo distruggiamo la natura. E a differenza di quelle contro il riscaldamento globale, molte delle battaglie per la biodiversità si possono ancora vincere. Sarà anche difficile bloccare la deforestazione o la distruzione delle zone di pesca, ma è sempre molto più facile che arrivare al zero emissioni di carbonio a livello globale. Un’organizzazione ambientalista valida ha una duplice visione: accoppia speranze realistiche a quelle irrealistiche».
Dopo gli incendi in California, che eventi dovremo attenderci e cosa dovremmo fare per mitigarne gli effetti?
«Ecco cosa succede quando il cambiamento climatico domina totalmente il dibattito pubblico: il governatore della California, Gavin Newsome, ha reagito agli incendi vietando la vendita di auto a benzina a partire dal 2035.
Preferirei sentir parlare meno di auto elettriche e più di controllo delle dimensioni e della gravità degli incendi. Il fuoco è un elemento naturale e, sinceramente, uno o due milioni di acri di California dovrebbero bruciare ogni anno. Il problema è che ora gli incendi sono più violenti, dopo un secolo di misure anti-incendio, e che nelle zone a rischio abitano troppe persone. Dobbiamo sviluppare l’edilizia urbana e servono grandi investimenti nella gestione degli incendi. Il 2035 è quasi irrilevante».
Si aspetta miglioramenti in campo climatico e ambientale da un’eventuale amministrazione Biden?
«Per l’ambiente sarebbe meglio eleggere presidente il mio gatto piuttosto che Donald Trump».
Incontrerebbe Greta Thunberg? E cosa le direbbe?
«Non spasimo per conoscere le celebrità, ma immagino che, se dovessi incontrarla, la esorterei a parlare di più in pubblico di quello che facciamo alle piante e agli animali selvatici del pianeta, indipendentemente dalla questione del cambiamento climatico».