Il virus, concede il poliglotta ex ministro degli Esteri dei Paesi Bassi, ha cambiato la vita di tutti, anche la sua. Gli impedisce di abbracciare il padre malato e vedere gli amici, lo ha costretto a rinunciare alla vacanza estiva nell’amata Italia. Oggi sarà al Forum Ambrosetti di Cernobbio in modalità virtuale il che, giura, gli dispiace. «La dura lezione – spiega – è che la crisi non finirà presto e che dobbiamo imparare a vivere col virus». Riconosce che «alcuni paesi, per ragione culturali, faticano ad accettare il cambiamento di abitudini», però «siamo obbligati a gestire il Covid-19, condividendo le esperienze sanitarie e gli interventi delle autorità pubblica». Scambiare informazioni per capire meglio, insomma. POi investire senza sbagliare un colpo, proteggendo i lavoratori, i cittadini e il mondo verde. Ed evitare di gonfiare il debito.
Presidente, l’Ue non è stata modello di organizzazione sinora. La Sanità non è una politica comune. Che potete fare?
«L’ultima parola sulle quarantene e sui limiti per chi viaggia spetta alle capitali; la sovranità è loro. Eppure, non c’è dubbio che se ci coordiniamo saremo più efficaci. Ora c’è confusione, i cittadini non capiscono perché un paese è considerato zona gialla o rossa a seconda di chi lo valuta. Ne risulta che molti finiscono per non rispettare le regole. Per questo la Commissione vuole indirizzare gli stati verso decisioni omogenee. Possiamo convincerli che il successo dipende dalla condivisione di pratiche e strategie».
Il vaccino, quando ci sarà, richiederà coordinamento, no?
«Dobbiamo stipulare i contratti per gli acquisti a livello europeo. Così saremo sicuri che tutti gli stati vi avranno un equo accesso».
È possibile?
«Alla comparsa del virus molti paesi hanno fatto da soli e poi hanno cambiato orientamento. I contratti europei per il vaccino lo renderanno disponile a tutti, anche in numerose aree del Terzo Mondo che guardano al noi per essere aiutati. Il governo italiano è d’accordo. Dobbiamo persuadere gli stati più riluttanti».Intanto c’è chi fa politica giocando sulle restrizioni della pandemia.
«Dobbiamo scolpirci nel comportamento l’uso della mascherina, le distanze, il lavarsi le mani. Sono scelte necessarie. Ci sono movimenti politici per i quali tutto questo è un attentato alla libertà personale. È falso. Al contrario, è un modo per tutelare la libertà, per essere responsabili, nei confronti di sé e degli altri».
Per l’economia sottozero arrivano i fondi Ue. Il rischio è che l’uso non sia quello auspicato a Bruxelles.
«La Commissione sarà ferma e chiara nel controllare che si vada nella giusta direzione. È il tempo di attuare l’agenda del New Green Deal. Non possiamo perdere l’occasione»
Vale per tutti, ma l’Italia cresceva poco anche senza lockdown.
«Mi auguro il governo insista nel percorso di riforme necessario già prima della pandemia e rispetti gli impegni che ha preso sinora».
Quando le cose andranno meglio, la Bce comprerà meno titoli e il Patto di stabilità tornerà stringente, Roma e il suo superdebito rischieranno grosso, non le pare?
«Molto dipende dalla velocità, dalla direzione e dalla determinazione del governo e degli investitori privati. Se guardiamo il livello dei risparmi privati che crescono, in Italia, si ha il segnale della fiducia venuta meno. Come ha detto Conte più volte, la risposta è nelle scelte che aiutano l’industria a ristrutturarsi per creare opportunità di lavoro. Il riapparire della fiducia, con la ripresa, renderebbe più gestibile il debito. Con la giusta azione nei settori rilevanti, la chimica come l’auto e le costruzioni, in un paio d’anni la situazione potrà cambiare».
E le regole di bilancio europee?
«Dobbiamo riflettere e vedere se e come adattarle ai tempi. Tenendo però presente quello che si è visto durante la pandemia: i paesi più disciplinati dal punto di vista del bilancio hanno avuto meno problemi a spendere. L’Italia deve evitare di aumentare il debito. Ma deve sapere che il debito non è un problema se l’economia sottostante è solida».
La pandemia ha normalizzato il lavoro da casa. Non è pericoloso per la struttura sociale?
«Il virus mette alla prova le relazioni umani, a livello personale e collettivo. In alcune professioni si è scoperto che si è più produttivi a casa, in altre meno. L’ingiustizia della pandemia è che tutti non tutti hanno la scelta di essere impiegati a casa. Se lavori nella sanità o nella Polizia non hai scelta, e noi abbiamo il dovere di proteggere queste categorie».
Come?
«Garantendo le condizioni sanitarie adeguate. E alzando lo stipendio a chi lavora in prima linea, a chi è per forza a contatto con il pubblico. Dalle scuole agli ospedali».
Alla luce della crisi virale, sale l’ansia per il cambiamento climatico?
«La pandemia è anche il risultato di un rapporto molto difficoltoso coil pianeta. Siamo nel mezzo di una rivoluzione industriale e tecnologica. Possiamo cercare di controllarla e allora ridurre il rischio di essere vittima dei fattori esterni. Oppure lasciarla correre, e allora porre le premesse perché milioni di persone soffrano e pochi guadagnino sino a diventare favolosamente ricchi. Succederà, se non agiamo subito. E tradiremo la volontà di “non lasciare nessuno indietro”».
Qui scatta il Green New Deal, nelle vostre intenzioni.
«Prima della pandemia, sapevamo che fare, ma eravamo lenti nel decidere come. Adesso è cambiato tutto. Le autorità pubbliche e le imprese devono assumere decisioni importanti e invocano certezze. C’è un bisogno straordinario di investimenti, soprattutto per limitare una disoccupazione destinata a crescere. Devono farlo ora perché i risultati non si vedranno prima di qualche anno».
La fortuna è che i fondi non mancano.
«Sono abbondanti. L’Europa integrerà il lavoro della Bei ma anche quello delle banche private. Sosterrà, ad esempio, gli interventi verdi sulle abitazioni e sulle imprese che hanno effetti immediati sul valore degli immobili e sulle bollette e, così, alimentano la fiducia. Di qui si riparte».
In maggio lei auspicava una nuova politica industriale europea. Passi avanti?
«Si, sta succedendo. Molto rapidamente. Un esempio è la strategia per l’idrogeno. L’Europa potrà elettrolizzatori da 6 gigawatt nel 2024 e salire a 40 nel 2030. In Italia si in prospettiva applica al caso Ilva: si potrebbe produrre acciaio “pulito” a Taranto e ridurre così l’importazione di prodotto “sporco” da furo l’Europa. Il Paese ha un ampio potenziale con l’eolica Offshore. L’elettricità rinnovabile può servire ad alimentare le auto come le industrie chimiche. Ci sono molti piani e molti ci lavorano notte e giorno, a Bruxelles come in Italia”.
Da noi si contano più discorsi che piani effettivi, però.
«Le grandi compagnie energetiche pensano tutte alla transizione verso l’idrogeno attraverso la decarbonizzazione del gas naturale. L’Italia ha una solida rete di distribuzione del metano. Trasformarla in idrogeno costa circa il 25% rispetto al costruire nuovi tubi».