Francesco Piccolo impressionista della quotidiana insoddisfazione.

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di Raffaele La Capria

La prima osservazione che farei a Francesco Piccolo dopo la lettura del suo nuovo libro Momenti di trascurabile infelicità (Einaudi), imitando il suo stile ironico-antitetico, è che questo suo libro, che vien dopo Momenti di trascurabile felicità , non procura al lettore l’infelicità che lui si proponeva, ma gli offre momenti di trascurabile felicità. Dunque produce il contrario di quel che si era proposto: è un segno buono o no? Ai posteri l’ardua sentenza.
Certo è, a prima vista, abbastanza strano che un bravo sceneggiatore come lui, tessitore di trame che si sono tradotte in film di grande successo, scriva da un po’ di tempo libri che non solo non possono attribuirsi la definizione di romanzi, ma fanno pensare che a lui il romanzo, con le sue storie, le sue descrizioni, i suoi accadimenti e i suoi personaggi, sia praticamente venuto a noia.
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Non gli do del tutto torto, anche Borges ha espresso la stessa insofferenza, anche Beckett e tanti altri pregevoli scrittori. Perché questa insofferenza? Forse perché non esistono più esperienze veramente interessanti? O forse perché «la chair est triste hélas! et j’ai lu tous les livres»? Insomma siamo o non siamo un po’ stufi del genere romanzo anche perché se ne scrivono troppi e la produzione dei cosiddetti romanzi è tanto superiore alla possibilità di leggerli che ne ha fatto scadere il valore? Quando una merce è sovrabbondante — e qui mi sto addentrando in uno di quei ragionamenti quasi insostenibili, ma possibili, che Francesco Piccolo ci propone nel suo libro — cala il suo prezzo, insomma vale meno, tanto meno che non è più conveniente produrla. Quante volte abbiamo visto che si buttavano via quintali di arance invendibili perché sovrabbondanti? Mi fermo qui per non imitare troppo i ragionamenti stile Piccolo, e vado avanti.
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Se Francesco non scrive romanzi normali, ha trovato però un nuovo campicello narrativo da sfruttare per chi non può fare a meno di scrivere qualcosa. Questo qualcosa è appunto ciò che è trascurabile, e senza che noi ce ne accorgiamo produce effetti niente affatto trascurabili, umori e malumori, depressioncelle, delusioncelle, che tutte sommate determinano non dico una trama, ma uno stato d’animo che segna le nostre giornate.
Questo qualcosa, il campicello da sfruttare per chi voglia fare letteratura, è appunto il campicello dell’irrilevanza. Le cose che erano talmente nascoste dall’ovvietà da finire confinate nella non-esistenza, diventano all’improvviso, per opera di Francesco Piccolo, degne della nostra attenzione.
È come se alla realtà visibile nelle grandi linee si applicasse un microscopio. Quello che vediamo nel microscopio applicato a un oggetto è completamente diverso da quel che vediamo nella realtà, l’oggetto non è più quello, si scompone, diventa una cosa completamente inaspettata e del tutto diversa. Nella realtà un mondo invisibile, che produce effetti visibili, è un fatto molto comune, basta pensare ai microbi, ai virus, agli acari che producono effetti «non trascurabili».
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Il nuovo libro di Francesco Piccolo si avventura per queste strade e lo fa non per inventarsi intelligenti e concisi aforismi fatti di parole e di saggezza, no, non è questo il suo intento; piuttosto il suo intento è proprio l’analisi di una trascurata realtà, è un realismo minore e a volte infinitesimo, spesso assurdo, qualche volta surreale, perfino — ma forse esagero — perfino un po’ kafkiano. E mentre scrivo queste cose penso alla storia di quel giapponesino che si è infilato in casa con tutti i diritti di un bambino appartenente alla famiglia, e ne combina di tutti i colori, ma proprio di tutti i colori, con una violenza uguale a quella dei cartoni animati giapponesi che vediamo alla televisione, e con questi comportamenti distrugge la pace familiare, e tuttavia è amato e coccolato come lo sono sempre i bambini troppo vivaci.
Quando parla di bambini e dei ricordi dell’infanzia, Francesco Piccolo trova i momenti migliori, come nel racconto del bambino e Federica, o quello dei bambini che vedono passare sulla vespa la bellissima Paola.
C’è forse dietro tutte queste pagine, dietro questi segmenti di scrittura, una filosofia che si potrebbe sintetizzare in questo modo: «Il mondo è tutto quello che accade», e quello che accade può esser detto solo con una scrittura — come dire? — «pointillista», tanti puntini di colore come nei quadri di Georges Seurat, che formavano figure e paesaggi catturati nella luce dell’istante.
Qui invece l’unica figura che rivelano è quella dell’autore, di Francesco Piccolo, della sua sensibilità. Potrei aggiungere: beato te, se i tuoi momenti di infelicità sono questi, anche se trascurabili. E però non è anche vero che le cose di cui scrive capitano a tutti e immediatamente le riconosciamo? E non è vero che, come tanta arte contemporanea, con l’azzardo allargano il campo delle nostre percezioni?