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Giovedì Santo: L’Ultima Cena e la Preghiera nell’Orto
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“Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Luca 22,14-15).
Al piano terra del Museo Palazzo Corboli di Asciano si conservano alcuni frammenti di affresco con storie della Passione provenienti dalla chiesa di San Lorenzo all’ex Convento di San Francesco: da sinistra verso destra possiamo ammirare “L’ultima cena”, “La preghiera nell’orto degli ulivi” e “Il bacio di Giuda”. Grazie agli studi di Luciano Bellosi, prestigioso storico dell’arte medievale a cui tanto deve l’Università degli Studi di Siena, è stato possibile attribuirli al pennello di Jacopo di Mino del Pellicciaio intorno alla metà del Trecento: un artista che fu influenzato dai suoi illustri predecessori, Ambrogio Lorenzetti e Simone Martini, ma che in queste scene, purtroppo lacunose, si distingue per lo stile narrativo.
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Venerdì Santo: la Crocifissione
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“Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto. […] La vita sulla terra è dolorosa, ma è anche gioiosa: mi sovvengono i piccoli dell’uomo, gli alberi, gli animali. Mancano oggi qui su questo poggio che chiamano Calvario. […] Sono stato troppo uomo tra gli uomini o troppo poco?” (Mario Luzi, La passione).
Il Crocifisso, esposto nel Museo Civico e Diocesano di Montalcino ma proveniente dalla chiesa di Sant’Egidio, è un capolavoro di Francesco di Valdambrino, uno dei più affermati “maestri di legname” del primo Quattrocento, amico di Jacopo della Quercia e fra i partecipanti del celebre concorso per la porta nord del Battistero di Firenze. Grazie a un attento studio naturalistico, la scultura restituisce un senso di grazie privo di sofferenza. La stupenda testa di Cristo è colta nell’attimo di spirare: le palpebre abbassate, le guance leggermente affossate, mentre la bocca appena aperta, livida, lascia intravedere i denti accennando un’espressione teneramente amara.
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“Piango di lui ciò che mi è tolto / Le braccia magre la fronte il volto / Ogni sua vita che vive ancora / Che vedo spegnersi ora per ora / Figlio nel sangue figlio nel cuore / E chi ti chiama ‘Nostro Signore’ / Nella fatica del tuo sorriso / Cerca un ritaglio di Paradiso / Per me sei figlio vita morente / Ti portò cieco questo mio ventre / Come nel grembo e adesso in croce / Ti chiama amore questa mia voce / Non fossi stato figlio di Dio / T’avrei ancora per figlio mio” (Fabrizio De Andrè, Tre madri).
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Al Museo Diocesano d’Arte Sacra di Siena si conservano due versioni di Pietà, in affresco e scultura, entrambe realizzate dal poliedrico artista del Rinascimento senese Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta. La composizione in legno dipinto fu realizzata tra il 1448 e il 1450 per la parrocchia senese di San Donato in San Michele Arcangelo “pro sua devotione”. Vecchietta, ispirandosi al patetismo di Donatello, enfatizza il dramma di Cristo nel corpo inarcato, quasi alterando le proporzioni, ma tratteggia nei volti un dolore composto, spezzato solo dalle lacrime perlacee di Maria.
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