Flick: «La solidarietà fra cittadini ora è cruciale. Ma fin qui ne abbiamo negato il senso»

«Con la globalizzazione abbiamo elevato il profitto a regola di tutto, insieme alla velocità. Un nuovo vitello d’oro. Ora tutto questo ci torna indietro come un boomerang e ci dimostra che come sono veloci i mercati e le transazioni, così è veloce il Coronavirus. È una pestilenza, come ce ne sono state nella storia, ma viaggia con gli strumenti della globalizzazione». Per il professore Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Consulta ed ex ministro della Giustizia, la lezione del virus è severa: «Oggi crolla la convinzione che la tecnologia renda più ricchi i ricchi e un po’ meno poveri i poveri. In queste ore raccogliamo i frutti della crisi della città come formazione sociale, quella in cui si dovrebbe sviluppare la personalità attraverso i diritti ma anche i doveri: quello della solidarietà innanzitutto. Le grandi megalopoli, ma anche le nostre città metropolitane, sono state focolai di diseguaglianze. E, oggi, di contagio.

Tornare alle città rinascimentali non sembra praticabile. Come se ne esce?

Con la solidarietà, in carcere, negli ospedali. È fondamentale per riequilibrare un pubblico esposto alle inefficienze della politica e un privato dedicato al profitto.

La solidarietà fra cittadini è la leva del governo contro il virus.

Certo, ma chiederla solo per decreto non funzionerebbe. Anche perché caricare tutto su una giustizia inefficiente e paralizzata non funziona, vista la situazione delle carceri, esplosa per la vicenda del coronavirus: ecco cosa succede in un momento di emergenza se a chi sta in carcere togli fiducia e speranza. Oggi ci viene chiesto rivalutare le relazioni umane, quelle della città ‘giusta’. È giusto, ma arriviamo tardi: chiediamo di ricostruire quei rapporti che abbiamo smantellato con un riferimento esclusivo alla tecnologia e alla globalizzazione a fini di profitto.

Insomma per combattere il contagio ci serve il senso di cittadinanza che fin qui è stato smontato?

Sì: il senso civico, l’utopia dei beni comuni, quella di cui ci parlava Stefano Rodotà. E la città è una delle prime forme di bene comune. Per affrontare il momento eccezionale, ciascuno dovrà pagare qualcosa. Per uscirne tutti insieme.

Siamo tutti disposti a farlo?

Fino a ieri la movida andava avanti, c’è chi faceva la propaganda degli impianti di risalita a un euro al giorno perché tanto c’è ‘vacanza’. Una lezione di solidarietà ce la sta dando il fatto che ci siamo resi conto che il virus non colpisce solo gli ottantenni. Questo dovrebbe renderci più consapevoli che come cittadini, non solo consumatori, siamo in rapporto con gli altri. Dobbiamo ricordarcelo quando l’emergenza finirà e dovremo usare quello che abbiamo imparato per combattere le storture della globalizzazione. La solidarietà, nella nostra Costituzione, si lega alla giustizia e alla dignità: la retribuzione deve garantire la dignità, l’attività di impresa non può svolgersi in modo contrario alla dignità, la pari dignità sociale è di tutti. Il coronavirus, dopo, ci riconsegnerà i problemi grandi che abbiamo: i migranti, la fame nel mondo, le diseguaglianze. Dobbiamo rimettere al centro le persone e le relazioni fra di esse. Per non vederla, come oggi, solo come strumento di contagio.

Non rischiamo invece di uscire dall’era del virus più egoisti e più barricati nei confini nazionali?

Il rischio c’è. Ma è ridicolo non capire che il ’prima’ dell’epidemia è ben diverso dal ’prima gli italiani’, o ’prima l’America’.

Oggi il governo chiede un atteggiamento di ’solidarietà nazionale’, come negli anni del terrorismo. Servirebbe?

Le solidarietà proclamate sono tutte teoriche. Negli anni 70 non c’era un problema di solidarietà, stavamo meno male di oggi. Quel governo era un modo per dare una pennellata di decenza a una formula politica che non stava in piedi. E infatti non durò. Oggi è diverso. Allora non si barattava la permanenza al governo con la rinuncia a certi fondamenti istituzionali. Oggi pur di mantenere in piedi una maggioranza si sono ceduti alcuni fondamenti costituzionali: il rispetto delle persone, il sistema dei detenuti, come trattare i diversi, come limitare la cittadinanza. Io non credo al governo della solidarietà nazionale, neanche oggi: è una formula che serve a far scrivere editoriali sui giornali.

Il governo si sta dimostrando all’altezza della situazione?

Vedo una maggior chiarezza dalla scelta di unificare le regole del paese, e le varie zone, che prima erano una rossa una verde e l’altra bianca come il tricolore. Il primo modo per evitare il contagio è un trattamento uniforme per tutti. E far capire la drammaticità della situazione perché se continua a andare a sciare con lo sconto perché c’è il coronavirus anziché coltivare la solidarietà, il nostro destino è compromesso.

 

ilmanifesto.it

 

 

C’è qualcosa di nuovo

di Pierluigi Piccini, 9 marzo 2020

C’è qualcosa di nuovo nella crisi che stiamo vivendo, anzi di antico: la solidarietà. Nel divieto di stringerci la mano, di stare distanti, nell’obbligo di prendere un caffè al bar dentro delle strisce che normalmente disegnano il pericolo c’è qualcosa di originario, il bisogno dell’altro. Si avverte la mancanza, l’assenza di ciò che abbiamo ritenuto il quotidiano a volte fastidioso, il normale ci viene tolto. E riscopriamo il corpo, non quello dell’immagine materiale della bellezza che il consumo commerciale ci vorrebbe imporre, ma il corpo nella sua precarietà sia esso di anziano o di bambino, della vita che può essere messa in pericolo. Quel pericolo che prima del Coronavirus prende il nome di emergenza ambientale o tecnologica, ad esempio. Dall’individualismo degli anni ottanta e novanta all’odio di questi anni, all’unità, al corpo sociale, alla difesa dell’altro perché difendere l’altro potrebbe significare difendere noi stessi. Categorie che stanno riconquistando lentamente lo spazio del senso comune. Ascoltare gli anziani confinati nelle case e rispondere facendo fronte ai loro bisogni, ai genitori dei bambini a cui è vietato l’asilo o la scuola materna, ai precari, agli anelli più deboli che la situazione di difficoltà rende ancora più fragili. Aiutare chi si vede sottratto il reddito da un accidente non previsto. Insomma, esserci nelle forme pubbliche o private. Riconquistare quel clima che alcune volte le società riescono a mettere in piedi subito dopo una catastrofe e che il nostro Paese ha vissuto alcuni decenni fa.