Ilario Lombardo
Roma
«È tutto in testa a Draghi e a Franco». Questo si sente ripetere dai partiti, che si attorcigliano le dita in attesa di capire che forma prenderà la legge di Bilancio. Qualcosa trapela, ma molto di più si potrebbe scoprire oggi se sarà confermata la cabina di regia sulla manovra. Nel Consiglio dei ministri di domani – sempre che si faccia – dovrebbe invece andare il Dpb (Documento programmatico di bilancio), lo scheletro della legge di Bilancio, che a Bruxelles attendono dal 15 ottobre. Poi il presidente del Consiglio Mario Draghi si concentrerà sul Consiglio europeo. Difficile, spiegano da Palazzo Chigi, che venerdì, al suo ritorno, ci sarà il Cdm decisivo per la finanziaria.
Detto ciò, la settimana che si apre permette al capo del governo di mettersi alle spalle le prudenze elettorali e le cautele con le quali ha intessuto il lavoro sul bilancio e sulle riforme. Passato il voto nelle grandi città, Draghi intende mettere un punto ai provvedimenti rimasti in sospeso. Si parte dalla manovra, sapendo che si dovrà trovare un equilibrio innanzitutto nel reticolo di veti opposti al premier dai partiti e poi tra i desideri dei leader e le risorse a disposizione. Il centrodestra tutto è sul piede di guerra per abbattere il Reddito di cittadinanza. La Lega, però, vuole anche una soluzione sulle pensioni che vada bene a Matteo Salvini, visto che dovrebbe finire al macero Quota 100. Il M5S, in trincea per difendere il Rdc, chiederà di tornare al cashback caro a Giuseppe Conte. Il Pd invece si concentra sul cuneo fiscale e sul complicato finanziamento degli ammortizzatori sociali. Su quali siano le priorità e le dotazioni necessarie le posizioni tra le forze politiche restano distanti. La mediazione che attende Draghi non è semplice. Ma anche la fattibilità delle misure è un grattacapo per il premier e il suo ministro del Tesoro, Daniele Franco.
Reddito di cittadinanza
La batteria delle dichiarazioni degli esponenti di centrodestra che chiedono l’abolizione o la revisione della riforma simbolo del M5S è ormai quotidiana. Il sussidio però sembra non dispiacere a Draghi, sempre che si realizzino le modifiche necessarie a sanarne le storture, a partire dalle politiche attive. Lo stimolo al lavoro non ha funzionato, e poi il Nord Italia, gli immigrati e le famiglie numerose sono state penalizzate. Le sfide saranno due: ricalcolare il finanziamento necessario per il 2022 e ridefinire i destinatari del Reddito. Se, come sembra, si arriverà a rimodulare in maniera decrescente l’assegno per i circa 1,2 milioni (su oltre 3,5 milioni) beneficiari «occupabili», le coperture cambieranno.
Ammortizzatori sociali
E se i soldi del Reddito finissero nella riforma degli ammortizzatori sociali, visto che tra l’altro incrocia il capitolo, da migliorare, delle politiche attive? Farebbe la gioia del ministro del Lavoro del Pd Andrea Orlando, all’inseguimento di risorse che il Tesoro non è disposto a concedere. Orlando ha chiesto 8 miliardi. Franco è fermo su 3-4. In questo modo frana il valore universalistico del nuovo welfare e l’estensione della Cassa integrazione non arriverebbe fino alle microimprese con meno di 5 dipendenti.
Cuneo fiscale e Irpef
Il taglio delle tasse è la grande incognita del governo Draghi. Mentre cercano di interpretare le volontà del premier, i partiti tengono accesi i riflettori sulle proprie proposte. Il centrodestra chiede di investire risorse sul taglio dell’Irpef. Il Pd e Iv puntano sulla sforbiciata al cuneo fiscale (la differenza tra stipendio lordo pagato dalle aziende e importo netto percepito in busta paga dai lavoratori). Al Tesoro hanno allo studio diverse ipotesi per realizzarlo. Una, che piace a sinistra ma non tanto a una parte del M5S, prevede di agganciare il taglio al bonus degli 80 euro di Matteo Renzi esteso a 100 durante il governo Conte, che ne aveva allargato la platea ai redditi leggermente più alti. Le imprese, però, preferirebbero il taglio dell’Irap.
Pensioni
La maggioranza è in confusione anche sulle pensioni. E nel governo, da Palazzo Chigi in giù, le soluzioni sembrano tardare ad arrivare. Su Quota 100 Salvini si è messo il cuore in pace ma pretende una compensazione. Si riparta da Quota 41, dicono nella Lega, ma questa formula strappa solo risposte piccate dal Tesoro. Questione di numeri, dicono: costerebbe 4,3 miliardi nel 2022, 6 nel 2023, e oltre 9 miliardi come tendenza. Uno sproposito. Meglio, ragionano, concentrarsi sull’ampliamento delle pensioni anticipate per i lavori usuranti: costerebbe solo un miliardo per i primi tre anni.